Bob Dylan: differenze tra le versioni

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{{Bio
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[[File:Bob_Dylan_1991.jpeg|thumb|280px]]

Renato Giovannoli, La Bibbia di Bob Dylan, Áncora, Milano,
* I volume: Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione (1961-1978), pagg. 377
* II volume: Il «periodo cristiano» e la crisi spirituale (1978-1988), pagg. 331
* III volume: Un nuovo inizio e la maturità (1988-2012), pagg. 424
== Andrea Monda su Avvenire ==

Tratto da https://www.avvenire.it/agora/pagine/dylan
Tratto da https://www.avvenire.it/agora/pagine/dylan


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Un libro per dylaniani e non, ma comunque tutto da leggere è dunque La Bibbia di Bob Dylan di Renato Giovannoli (Ancora. Pagine 378. Euro 26,00). Il volume è il primo di una trilogia che suddivide in tre parti la lunga e non ancora terminata parabola artistica del cantautore del Minnesota. Ai dylaniani di provata fedeltà, a cominciare dal suo mentore italiano Francesco De Gregori, invece è assolutamente consigliato il bel libro antologico Bob Dylan (Hoepli - nella collana “La storia del rock. I protagonisti. Pagine 204. Euro 17,00). Curato da Salvatore Esposito, si tratta di un vero e proprio scrigno editoriale, - impreziosito dalla prefazione di Alessandro Portelli e la postfazione di Alberto Fortis - corredato da una marea di curiosità, aneddoti e un meraviglioso apparato fotografico che ripercorre tutte le tappe di colui che come pochi altri artisti americani ha saputo raccontare il Paese a strelle e strisce. Un poeta ammirato anche dai grandi epigoni della beat generation, come Allen Ginsberg il quale ascoltando le prime prove musicali di Dylan disse: «Ha portato la poesia nei jukebox».
Un libro per dylaniani e non, ma comunque tutto da leggere è dunque La Bibbia di Bob Dylan di Renato Giovannoli (Ancora. Pagine 378. Euro 26,00). Il volume è il primo di una trilogia che suddivide in tre parti la lunga e non ancora terminata parabola artistica del cantautore del Minnesota. Ai dylaniani di provata fedeltà, a cominciare dal suo mentore italiano Francesco De Gregori, invece è assolutamente consigliato il bel libro antologico Bob Dylan (Hoepli - nella collana “La storia del rock. I protagonisti. Pagine 204. Euro 17,00). Curato da Salvatore Esposito, si tratta di un vero e proprio scrigno editoriale, - impreziosito dalla prefazione di Alessandro Portelli e la postfazione di Alberto Fortis - corredato da una marea di curiosità, aneddoti e un meraviglioso apparato fotografico che ripercorre tutte le tappe di colui che come pochi altri artisti americani ha saputo raccontare il Paese a strelle e strisce. Un poeta ammirato anche dai grandi epigoni della beat generation, come Allen Ginsberg il quale ascoltando le prime prove musicali di Dylan disse: «Ha portato la poesia nei jukebox».


Il 27 dicembre 1967 Bob Dylan pubblica l’album John Wesley Harding, il «primo disco di rock biblico» secondo la definizione che lo stesso cantautore darà successivamente a questo album di musica country. Era la prima volta che veniva usata una tale definizione. Eppure di “rock biblico” Dylan ne aveva già prodotto parecchio a partire dai primi anni Sessanta, da quando aveva cominciato a incantare il mondo con la sua musica e la sua inconfondibile voce. Questo «rock biblico», la sua natura, la sua estensione, i suoi confini, è il tema del saggio di Renato Giovannoli La Bibbia di Bob Dylan (Ancora, pagine 378, euro 26,00).
Il 27 dicembre 1967 Bob Dylan pubblica l’album [[John Wesley Harding]], il «primo disco di rock biblico» secondo la definizione che lo stesso cantautore darà successivamente a questo album di musica country. Era la prima volta che veniva usata una tale definizione. Eppure di “rock biblico” Dylan ne aveva già prodotto parecchio a partire dai primi anni Sessanta, da quando aveva cominciato a incantare il mondo con la sua musica e la sua inconfondibile voce. Questo «rock biblico», la sua natura, la sua estensione, i suoi confini, è il tema del saggio di Renato Giovannoli La Bibbia di Bob Dylan (Ancora, pagine 378, euro 26,00).


Questo primo volume tocca la produzione dal 1961 al 1978 (e porta come sottotitolo Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione), il secondo, che uscirà il prossimo autunno, comprende il decennio 1978-1988 ( Il periodo “cristiano” e la crisi spirituale) mentre il terzo volume, previsto per la primavera del 2018, arriva fino al 2012, cioè fino a Tempest, per ora l’ultimo album con testi originali di Dylan, con il titolo Un nuovo inizio e la maturità. Fino al 2012 arriva anche il terzo volume delle Lyrics tradotte da Alessandro Carrera (Feltrinelli. Pagine 454. Euro 20,00) come continuazione della precedente monumentale opera in unico volume che però si era fermata al 2002. La concomitanza temporale dell’uscita di questi due volumi è favorevole anche perché incrocia un altro evento, il conseguimento del premio Nobel da parte di Dylan che i primi di giugno ha consegnato anche il discorso ufficiale richiesto dal regolamento del premio e che la segretaria dell’accademia, Sara Danius, ha definito «discorso straordinario » ed «eloquente».
Questo primo volume tocca la produzione dal 1961 al 1978 (e porta come sottotitolo Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione), il secondo, che uscirà il prossimo autunno, comprende il decennio 1978-1988 ( Il periodo “cristiano” e la crisi spirituale) mentre il terzo volume, previsto per la primavera del 2018, arriva fino al 2012, cioè fino a Tempest, per ora l’ultimo album con testi originali di Dylan, con il titolo Un nuovo inizio e la maturità. Fino al 2012 arriva anche il terzo volume delle Lyrics tradotte da Alessandro Carrera (Feltrinelli. Pagine 454. Euro 20,00) come continuazione della precedente monumentale opera in unico volume che però si era fermata al 2002. La concomitanza temporale dell’uscita di questi due volumi è favorevole anche perché incrocia un altro evento, il conseguimento del premio Nobel da parte di Dylan che i primi di giugno ha consegnato anche il discorso ufficiale richiesto dal regolamento del premio e che la segretaria dell’accademia, Sara Danius, ha definito «discorso straordinario » ed «eloquente».
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L’iperbole per cui non c’è testo di Dylan che non abbia almeno un riferimento biblico, più o meno esplicito, non è poi così iperbolica come è dimostrato da questo primo meticoloso e ponderoso volume di Giovannoli che rappresenta un unicum non solo in Italia ma anche all’estero. L’ennesima prova del nesso vitale tra le canzoni di Dylan e il testo biblico sta proprio nell’omissione che Dylan ha compiuto nel citare le sue fonti principali all’interno del discorso ufficiale per il Nobel: ha infatti menzionato la musica di Buddy Holly e poi tanta poesia, in particolare John Donne, soffermandosi su tre libri per lui fondamentali, Moby Dick, Niente di nuovo sul fronte occidentale e l’Odissea. La Bibbia non l’ha citata, proprio perché non è un “altro” libro a fianco di questi, ma molto di più, parafrasando Shakespeare (usando così un’immagine cara allo stesso Dylan): la Bibbia è «la stoffa con la quale sono fatti i suoi testi». E non solo e non tanto la Bibbia ebraica, come si potrebbe pensare data l’origine semita di Robert Allen Zimmerman, nato da Abraham e Betty a Duluth il 24 maggio 1941, ma soprattutto la Bibbia cristiana, più precisamente la King James Version, la Bibbia di Re Giacomo che, come ricorda Northrop Frye, è il Grande Codice della letteratura occidentale. Antico e Nuovo Testamento queste sono le due parti del grande codice dylaniano, un codice oggi più accessibile grazie all’opera di due seri e competenti studiosi italiani.
L’iperbole per cui non c’è testo di Dylan che non abbia almeno un riferimento biblico, più o meno esplicito, non è poi così iperbolica come è dimostrato da questo primo meticoloso e ponderoso volume di Giovannoli che rappresenta un unicum non solo in Italia ma anche all’estero. L’ennesima prova del nesso vitale tra le canzoni di Dylan e il testo biblico sta proprio nell’omissione che Dylan ha compiuto nel citare le sue fonti principali all’interno del discorso ufficiale per il Nobel: ha infatti menzionato la musica di Buddy Holly e poi tanta poesia, in particolare John Donne, soffermandosi su tre libri per lui fondamentali, Moby Dick, Niente di nuovo sul fronte occidentale e l’Odissea. La Bibbia non l’ha citata, proprio perché non è un “altro” libro a fianco di questi, ma molto di più, parafrasando Shakespeare (usando così un’immagine cara allo stesso Dylan): la Bibbia è «la stoffa con la quale sono fatti i suoi testi». E non solo e non tanto la Bibbia ebraica, come si potrebbe pensare data l’origine semita di Robert Allen Zimmerman, nato da Abraham e Betty a Duluth il 24 maggio 1941, ma soprattutto la Bibbia cristiana, più precisamente la King James Version, la Bibbia di Re Giacomo che, come ricorda Northrop Frye, è il Grande Codice della letteratura occidentale. Antico e Nuovo Testamento queste sono le due parti del grande codice dylaniano, un codice oggi più accessibile grazie all’opera di due seri e competenti studiosi italiani.

== E Bob Dylan incontrò Cristo, di Marco Ventura ==

tratto da https://francescomacri.wordpress.com/2017/03/06/e-bob-dylan-incontro-cristo/

Il 17 novembre 1978 Bob Dylan è in concerto a San Diego. Qualcuno dal pubblico lancia sul palco una piccola croce d’argento. Il cantautore si china, la raccoglie, la conserva. La notte seguente, nella sua stanza in un hotel di Tucson in Arizona, Dylan si fruga in tasca. Trova quella croce; la mette al collo. E incontra Gesù. Seguono la trilogia gospel, le predicazioni del Vangelo durante i concerti, l’annuncio dell’Apocalisse in un mondo sempre più analfabeta di Dio: «Sappiamo che il mondo sarà distrutto. Lo sappiamo bene. Gesù instaurerà il suo Regno a Gerusalemme per mille anni, nel quale il leone e l’agnello giaceranno insieme. L’avevate mai sentita questa cosa? Mi piacerebbe sapere quanta gente ci crede davvero».

La conversione del futuro premio Nobel, poco meno di quarant’anni fa, è al centro della psicobiografia di Dylan pubblicata da Oxford University Press negli Stati Uniti all’inizio dell’anno e in uscita a fine mese per il mercato britannico e europeo: Light Come Shining. The Transformations of Bob Dylan («Luce che arriva splendente. Le trasformazioni di Bob Dylan»). Per l’autore, lo psicologo scrittore americano Andrew McCarron, la conversione al cristianesimo segue un copione fondamentale nella vita dell’artista, già vissuto in occasione della crisi del 1966, quella che coincise con il misterioso incidente di motocicletta, e che un decennio dopo la rinascita da cristiano si sarebbe riproposto in quel bar di San Rafael, in California, dove nel 1987 Dylan sperimentò una nuova trasfigurazione in seguito alla quale ritornò a produrre musica.Di quel copione, Andrew McCarron descrive le fasi. Una crisi esistenziale, fisica e creativa che sprofonda il cantante nel senso di un imminente pericolo, nella perdita di identità e nella paura della morte; l’aggrapparsi alla musica dell’adolescenza, ai suoni e alle parole che hanno formato il giovanissimo Robert Zimmerman (vero nome di Bob Dylan), al destino che lo ha sempre spinto verso la più autentica realizzazione di sé; e infine la rinascita e la trasformazione di un uomo che ritrova la direzione.La struttura del copione si reitera nelle tre grandi crisi ed è espressa dalle canzoni che McCarron individua come rappresentative di ciascuno dei grandi momenti di passaggio, e il cui particolare significato è documentato dalla speciale attenzione ad esse riservata dallo stesso Bob Dylan. I Shall Be Released del 1967, In the Garden del 1979 e Where Teardrops Fall del 1989 testimoniano lo smarrimento, la caduta, la paura, e poi la risalita, il ritorno alla coscienza del proprio destino, la rinascita conseguente.Se il tema religioso è decisivo nella conversione al Vangelo dell’ebreo Bob Dylan, esso è tuttavia fortemente presente anche negli altri due momenti chiave. La rinascita dopo l’incidente di moto del 1966 è, con le parole dello stesso Dylan, un’esperienza di «trasfigurazione» come quella di Gesù nel Vangelo di Matteo, il preferito dall’artista. Le tre canzoni, scrive McCarron, si richiamano l’una all’altra e narrano una storia pervasa di «ispirazione biblica» che rispecchia la stessa «frastagliata esperienza di lotta, destino e trasformazione» vissuta da Dylan. Il tema religioso è anche fondamentale nel ritorno costante alle canzoni che l’adolescente Robert ascoltava alla radio o nei giradischi portatili degli anni Cinquanta, che un Dylan più maturo descrisse come il suo «vocabolario» e il suo «libro di preghiere».In un’intervista sulla sua religiosità concessa al «New York Times» nel 1997, Bob Dylan spiegò come tutto risalisse proprio a «quelle vecchie canzoni»: «Credo nel Dio del tempo e dello spazio. Ma se davvero me lo chiedono, d’istinto mi volto indietro e penso a quelle canzoni. Credo in Hank Williams che canta I Saw the Light . Anche io ho visto la Luce». Dunque, commenta McCarron, Hank Williams e gli altri «vecchi cantanti» trasmisero certo a Bob Dylan un modo di suonare la

chitarra o una tecnica vocale, ma lo immersero anche in un mondo rurale in cui gli unici libri in casa erano la Bibbia di re Giacomo e l’ Almanacco del contadino , in una cultura americana profondamente influenzata dal risveglio evangelico ottocentesco, e gli insegnarono soprattutto come «orientarsi nel mondo».

McCarron dichiara di non volersi impegnare in una delle tante ricostruzioni enciclopediche della vita dell’icona. Non vuole essere uno dei mille dylanologi con l’ossessione del dettaglio. Usa la tecnica narrativa della psicobiografia, avvolge il lettore in una trama fittamente documentata e argomentata, per avvicinarsi all’essenza. Le trasformazioni di un Dylan proteiforme e mai statico, conclude McCarron, rispondono alla preoccupazione incessante di essere fedele al proprio destino; alla paura, espressa da Dylan stesso, di non realizzare ciò cui si è chiamati: «Quanta gente non riesce a diventare ciò che avrebbe dovuto essere. Sono tagliati fuori. Se ne vanno per un’altra strada. Succede molto spesso. Tutti conosciamo gente a cui è accaduto. Li riconosciamo per strada». A lui no, a Bob Dylan non è accaduto. «Dylan lascia intendere di non sentirsi come loro», scrive McCarron: «Egli è uno dei pochi trasfigurati».In questa luce, la conversione del 1978 non è un episodio isolato, né tanto meno l’irruzione improvvisa di una ispirazione religiosa in una vita fin lì insensibile a Dio. Non soltanto di riferimenti religiosi è disseminato il percorso artistico di Dylan, che del resto etichettò come opera pionieristica di «rock biblico» il suo primo album dopo l’incidente di moto, John Wesley Harding del 1968. Molto più significativamente, sostiene McCarron, l’elemento religioso è parte integrante del copione che accompagna le grandi cesure della vita del cantante: la perdita di scopo e di identità che lo rende vulnerabile al pericolo e alla morte, la risoluzione della crisi attraverso il recupero delle canzoni della giovinezza, la rinascita con un rinnovato senso di scopo e di sé.Il copione si rinnova nel momento della conversione, quando pesano esperienze religiose di Dylan come la frequentazione del gruppo Jews for Jesus, l’esposizione alla New Age californiana, e la stessa esperienza di discendente di ebrei fuggiti dalla persecuzione nell’originaria Lituania. Il fulcro della trasfigurazione, stavolta, è Gesù; nel cui nome Bob Dylan nasce ancora una volta. Born again Christian : «Ti svegli un giorno e sei rinato, sei divenuto un’altra persona. Se ci pensi fa paura. Accade sul piano spirituale, non su quello mentale». Non è la prima rinascita, e non sarà l’ultima, di un uomo che si è tante volte trasfigurato per essere fedele al suo destino.

== Bob Dylan, la religiosità stelle e strisce ==

di Maria Teresa Pontara Pederiva

tratto da https://francescomacri.wordpress.com/2018/03/27/bob-dylan-la-religiosita-stelle-e-strisce/

Arriva in questi giorni in libreria l’ultimo volume di una trilogia che l’editrice Àncora ha voluto dedicare a Bob Dylan, una figura che ha contribuito in maniera determinante a raccontare la storia della musica del Novecento e ancora di oggi. Il motivo di una scelta, forse a prima vista quantomeno inattesa, è presto detto: il celebre cantautore, di nome Robert Allen Zimmerman, nato in Minnesota nel 1941, in arte Bob Dylan (che la rivista Rolling Stone ha collocato nel 2015 in testa ai migliori 100 cantautori contemporanei), rappresenterebbe addirittura un «capitolo cruciale e complesso della religiosità americana».

Alla vigilia del Tour in Italia con 9 appuntamenti nel mese di aprile (tutti Sold out) l’opera, per la Collana “Maestri di Frontiera”, è destinata a suscitare una certa curiosità.La Bibbia secondo Bob Dylan o Bob Dylan secondo la BibbiaDi fatto, per dirla con quanti hanno indagato sulle sue canzoni, Dylan, nel corso della sua carriera, ha attraversato virtualmente ogni stadio dell’esperienza religiosa disponibile all’anima americana. Ne è convinto, per fare un esempio, Alessandro Carrera, docente a Houston in Texas e autore di alcuni testi su Dylan e anche del saggio introduttivo contenuto nel 1° dei poderosi volumi della trilogia (rispettivamente 384, 336 e 432 pagine) a firma di Renato Giovannoli.L’autore, nato nel 1956 in Romagna, docente di filosofia in un liceo di Lugano, giornalista e scrittore, ha analizzato testi e citazioni con riscontri inediti: quella che emerge si configura come un’analisi complessa o, meglio, una sorta di guida alla Bibbia secondo Bob Dylan o a Bob Dylan secondo la Bibbia. Complessa perché a dir poco enigmatica è la figura del settantasettenne cantautore (cui è stato attribuito due anni fa, non senza polemiche, il Premio Nobel per la letteratura) e molto spesso criptici si presentano i testi delle sue canzoni.Secondo Carrera, è proprio la Bibbia, «il Grande Codice che ha plasmato il linguaggio e l’immaginario della cultura occidentale e di quella americana in particolare», la chiave principale per decifrare il mistero Dylan e la trilogia di Giovannoli rappresenta anzitutto «un commento in prospettiva biblica dell’intero canzoniere dylaniano, ma anche un’inedita biografia spirituale di Dylan attraverso le sue canzoni». O, se vogliamo, una sorta di manuale cui attingere per conoscere meglio una figura che, nonostante sia un personaggio ampiamente seguito dalle cronache e pure assai premiato – il Nobel del 2016 è solo l’ultimo atto di una lunga serie iniziata con il Grammy Award alla carriera nel 1991, il Polar Music Prize nel 2000 e l’Oscar nel 2001 – per certi versi si può definire ancora avvolta dal mistero.Numerosissime sono infatti le chiavi di lettura che hanno tentato di decifrare le sue canzoni – sociologiche, poetiche, politiche – ma questa volta è la Bibbia a fungere da accesso privilegiato, anzi, per Carrera forse questo sarebbe addirittura l’unico accesso che possa davvero definirsi univoco e globale.Per i cultori di musica rock i testi della trilogia costituiscono poi il più vasto repertorio mai compilato delle citazioni bibliche presenti nelle composizioni di Dylan evidenziando sia la ripresa che l’intreccio con testi precedenti sia colti che popolari (ballate, spirituals, gospels, blues). «L’opera di Dylan – si legge nel 2° volume – è un’enciclopedia della musica popolare americana e ogni periodo della sua produzione è un capitolo di questa enciclopedia, scritto con una profondità, e anzi vissuto con un’intensità stupefacenti in un autodidatta come lui». «Nessun bianco avrebbe potuto eguagliare la sua appropriazione del gospel e del rhythm and blues» ha scritto Carrera.Un percorso umano e artistico non senza contraddizioniUno dei riferimenti più significativi è quel richiamo al «comandante supremo» che il cantautore indicava, non senza ironia, in un’intervista del 2004 all’emittente CBS, insieme a quella convinzione strisciante di essere parte di un destino da compiere e che lo spingerebbe a tener fede al suo impegno nonostante i tanti anni di militanza trascorsa.Secondo Giovannoli – che ha lavorato a questa ricerca per una decina d’anni – per Dylan si tratterebbe di una specie di contratto stipulato con il comandante in capo (alias Dio): «Io rimango on the road fino a quando mi regge il fiato, e tu mi fai arrivare dove nessun altro, nella nobile arte di scrivere e cantare canzoni, è mai arrivato». Nessuno sa dire ovviamente se questo è davvero l’intento di Dylan, ma è verosimile crederlo.Nato e cresciuto in una famiglia ebrea non osservante, Dylan è approdato, non senza un lungo travaglio interiore (fatto di fermate, inversioni di rotta, slanci in avanti), al cristianesimo evangelico nel 1979, un percorso che si ritrova in numerose strofe dei suoi canti e ballate (spesso con citazioni di seconda mano) tanto che ai giornalisti che lo intervistano giunge ad affermare: «Dio lo sento nel cuore». Per dichiarare poi inaspettatamente: «Io trovo religiosità e filosofia nella musica… Le canzoni sono il mio vocabolario. Credo nelle canzoni».Il primo volume, per dirla con l’autore, rappresenta un po’ il periodo classico di Bob Dylan, protagonista della grande stagione del pop-rock degli anni ’60-’70; il secondo tratta invece della crisi spirituale e della conversione negli anni 1978-1988, mentre il terzo (1988-2012) è dedicato alla maturità umana e professionale dell’artista.Forse è superfluo sottolineare come la lettura si rivela decisamente più immediata se il lettore può contare su una buona conoscenza sia della Scrittura che della lingua inglese dal momento che Giovannoli riprende costantemente termini o interi versetti biblici accostandoli in parallelo con i testi del cantautore. Un’operazione perfettamente riuscita soprattutto nel secondo volume dove si legge: «… un esempio di come Dylan componga i suoi versi grazie ad un attento studio della Bibbia basato sulle concordanze, anche a dimostrazione di come in questo periodo tutti i suoi versi, anche i più strani, siano strettamente aderenti alla lettera del testo biblico».Ecco allora una delle canzoni più belle dell’album uscito nell’agosto 1979 Slow Train Coming, I Believe in You (“Io credo in te”, e non si può non ricordare che I Believe è anche l’incipit della professione di fede all’interno della messa).Ciononostante, le contraddizioni sono dietro l’angolo, come accaduto nell’autunno 2009 quando fu pubblicato Christmas in the Heart (Natale nel cuore), un album di cover di canti natalizi popolari: quanti si aspettavano un disco a sfondo religioso – annota Giovannoli – restarono delusi. Sei canzoni su 15 (tra cui Adeste fideles cantata solo in parte in latino) sono sì a carattere religioso senza però distanziarsi da quel genere americano dei canti natalizi politically correct (di fatto la copertina raffigura una modella in abiti di Santa Claus e una slitta…).Altrove afferma che la sua fede è come una strada in cui «non ci sono altari». Ma scrive pure Man can’t live by bread alone(l’uomo non può vivere di solo pane).Ma suoi ispiratori sono anche Omero e John Lennon…, davvero un esempio della “religiosità” popolare americana.A dir poco straordinario è l’indice analitico per capitoli, quello delle canzoni e, infine, l’indice per temi, simboli e personaggi che occupa un centinaio di pagine, quasi un’appendice del 3° volume. A completamento di una trilogia che è già un classico per chi intenda addentrarsi nella Bibbia secondo Bob Dylan.

== La Bibbia di Bob Dylan, di Gianfranco Ravasi ==

tratto da https://francescomacri.wordpress.com/2018/09/02/la-bibbia-di-bob-dylan/

«Per noi fascisti le frontiere sono sacre. Non si discutono: si difendono». Così proclamava con l’enfasi che gli era incorporata Benito Mussolini nel discorso del 16 marzo 1938 alla Camera dei deputati. Parole che, declinate in forme diverse, sono sulle labbra dei nazionalisti e dei sovranisti di ogni tempo, compreso l’attuale. Ben differente è la concezione dell’autentica cultura che, senza ignorare le identità, riconosce che il vero sapiente è methórios, cioè colui che sta «sul confine» dove si allargano i diversi territori, pronto sempre a valicarli per scoprire nuovi orizzonti: il vocabolo greco è del filosofo ebreo alessandrino del I sec. d.C. Filone. Un suo contemporaneo, l’apostolo cristiano Paolo di Tarso, non esitava a dichiarare che «non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28), e scrivendo ai cristiani di Colossi allargava lo spettro delle frontiere introducendo «i barbari e gli sciti» (Colossesi 3,11).

Ora, l’editrice milanese Áncora da tempo ha inaugurato una collana intitolata proprio «Maestri di frontiera», rimandando a una particolare tipologia di persone: non credenti, forse agnostiche o indifferenti o provocatrici, non esitano però ad affacciarsi sulla regione della trascendenza e della fede, scrutandola come un abisso infernale o un Eden paradisiaco o semplicemente come una terra ignota, diversa rispetto a quella ove sono impiantati i loro piedi. Spesso, poi, accade che costoro, a differenza degli immobili e roboanti sciovinisti, sono persone dinamiche, convinte che le frontiere non sono ad est e ad ovest, a nord o a sud, ma dove un uomo incontra e si scontra con l’altro. È quello che suggeriva uno degli scritti più originali del primo cristianesimo, la cosiddetta Lettera a Diogneto, la quale, paragonando la presenza onnicomprensiva dell’anima nel corpo umano, affermava che «i cristiani abitano ciascuno la loro patria ma come forestieri… Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è terra straniera».Ebbene, se scorriamo l’elenco dei volumi della collana a cui accennavamo, ci imbattiamo in una pattuglia di scrittori veramente methórioi, da Pirandello a Pasolini, da Pavese a Buzzati, da Quasimodo a Cristina Campo, da Saint-Exupéry ad Antonia Pozzi, da Flannery O’Connor a Beckett. Ma ci incontriamo anche con un variegato arcobaleno di voci di cantautori, da De André a Gaber, da Baglioni a De Gregori, da Branduardi e Battiato fino a Vasco Rossi, e non manca persino una puntata nel mondo delle «strisce» col delizioso e geniale Snoopy, il cane inventato dalla matita di Charles Schulz, l’autore dei Peanuts con Linus, Charlie Brown e Lucy. Ora la collana introduce un vero e proprio monumento cartaceo eretto in onore del Nobel 2016 Robert Allen Zimmerman, alias Bob Dylan.Un ricercatore, Renato Giovannoli, consacra infatti a questo personaggio qualcosa come 1132 pagine distribuite in 3 tomi (il solo apparato degli indici occupa ben 110 pagine), e non per una biografia generale, bensì solo per tratteggiare la presenza della Bibbia nell’opera e nella vita di Dylan. È, però, vero che questo monumentale saggio riesce a ricomporre anche un ritratto completo del «menestrello», facendo emergere in filigrana la sua vicenda interiore e il suo complesso e variegato rapporto con la religione. D’altronde anche gli interessi di Giovannoli, testimoniati dalla sua bibliografia, lo rivelano come un uomo di frontiera che passa dallo studio della fantascienza a quello del poliziesco fino alla radiografia biblicofilosofica di un personaggio così sfuggente com’è Lewis Carroll con la sua Alice, immersa nel paese delle meraviglie oltre le frontiere del reale.Chi si accinge a vivere l’avventura proposta da questo studioso deve sapere che s’imbatterà in pagine che sono un costante palinsesto o, se si vuole, un intarsio per cui avrà la possibilità di leggere quasi tutti i testi di Dylan e di penetrare negli angoli più segreti della sua mente, anima e cuore, anche perché la trilogia scandisce altrettante fasi biografiche. Si parte nel 1961 quando il cantante ebreo del Minnesota è ventenne ed entra in scena come un «profeta minaccioso», nutrito di protesta; ma ben presto egli s’affaccia sull’orizzonte mistico-escatologico-apocalittico, che lo alonava fin dalla sua nascita, per poi attraversare una foresta di «parabole enigmatiche» che sfociano in una vera e propria innologia orante, in un’eucologia sacrale (ad esempio, «Ringrazierò sempre il Signore» o «Padre della notte, Padre del giorno, Padre che porti via le tenebre»).Ormai accanto a lui si leva anche una «mystical wife» che non gli risparmia però la solitudine della «notte oscura». Tuttavia, l’alba è in agguato e, proprio secondo la legge dell’oscillazione delle frontiere, ecco la sua conversione al cristianesimo che lo conduce nel 1979 al battesimo all’interno di una comunità evangelica. Si inaugura, così, l’arco dei «Salmi, inni e spiritual songs» (citazione paolina) che Giovannoli vaglia con un’impressionante acribia esegetica. Ma, per quella mobilità che era sua insegna, nel 1981 si notano i segni di una crisi e di un’evoluzione. In filigrana permane il grande codice biblico che per lui è come il vocabolario a cui attingere per cristallizzare nelle parole e nella musica l’incandescenza della sua ricerca che non esita a contaminarsi anche con altre espressioni artistiche, come l’iconografia cristiana (ad esempio, Mantegna o Bosch o Signorelli o Blake). Siamo nel 1988 e Dylan sembra precipitato fuori dal groove (come dice il titolo di un suo album), cioè dal «solco» della vita che è anche, in inglese, il tracciato del vinile. Ma questa caduta apocalittica non è per una morte spirituale. È, invece, la nuova frontiera che lo conduce all’ultima fase esaminata da Giovannoli che va fino al 2012 e che è definita come «un nuovo inizio e la maturità».Qui le iridescenze sono molteplici e il critico deve lavorare con estrema acribia per individuare sia i rimandi biblici – che talora sono solo ammiccamenti e allusioni – sia il cammino della rinascita di Dylan che ha nell’album On Mercy (1989) il suo vessillo. La cronologia e la produzione comprendono un arco molto ampio ove elementi religiosi s’intrecciano ad arabeschi esoterici, trasparenze cristiane come Christmas in the Heart (con l’Adeste fideles) si accosta a una impudica Charlotte the Harlot, che echeggia la Grande Prostituta dell’Apocalisse, posta però in contrasto con una Mary che, secondo Giovannoli, sarebbe la madre di Gesù.Fermiamoci qui in questa evocazione «impressionistica» di un lavoro «impressionante» attorno a un autore così proteiforme e spesso indecifrabile che, però, indubbiamente si è non solo affacciato ma ha varcato la frontiera della religiosità usando come passaporto la Bibbia, il cui repertorio di citazioni e allusioni è minuziosamente catalogato da questa trilogia che è ben più di un’esercitazione tematica «esegetica» ma – come si diceva – una vera e propria biografia spirituale e culturale del «menestrello». Un personaggio – se è lecita un’appendice personale – che ho avuto l’occasione di ascoltare e vedere dal vivo in un contesto sorprendente: al congresso eucaristico di Bologna il 27 settembre 1997, mentre si esibiva davanti a Giovanni Paolo II, proprio col suo celebre Blowin’ in the Wind.

Versione attuale delle 10:49, 2 set 2020

Bob Dylan
NazionalitàStati Uniti Stati Uniti
GenereFolk rock[1][2][3][4]
Musica d'autore[2][5][6]
Country rock[2]
Gospel
Rock psichedelico
Periodo di attività musicale1959 – in attività
StrumentoVoce, chitarra, armonica a bocca, pianoforte, organo, basso, mandolino
EtichettaColumbia Records, Asylum Records
Album pubblicati77 (dettaglio)
Studio39
Live16
Raccolte22

Bob Dylan (Duluth, 24 maggio 1941) è un cantautore, compositore, musicista e poeta statunitense.


Renato Giovannoli, La Bibbia di Bob Dylan, Áncora, Milano,

  • I volume: Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione (1961-1978), pagg. 377
  • II volume: Il «periodo cristiano» e la crisi spirituale (1978-1988), pagg. 331
  • III volume: Un nuovo inizio e la maturità (1988-2012), pagg. 424

Andrea Monda su Avvenire

Tratto da https://www.avvenire.it/agora/pagine/dylan

a cura di Andrea Monda

Un libro per dylaniani e non, ma comunque tutto da leggere è dunque La Bibbia di Bob Dylan di Renato Giovannoli (Ancora. Pagine 378. Euro 26,00). Il volume è il primo di una trilogia che suddivide in tre parti la lunga e non ancora terminata parabola artistica del cantautore del Minnesota. Ai dylaniani di provata fedeltà, a cominciare dal suo mentore italiano Francesco De Gregori, invece è assolutamente consigliato il bel libro antologico Bob Dylan (Hoepli - nella collana “La storia del rock. I protagonisti. Pagine 204. Euro 17,00). Curato da Salvatore Esposito, si tratta di un vero e proprio scrigno editoriale, - impreziosito dalla prefazione di Alessandro Portelli e la postfazione di Alberto Fortis - corredato da una marea di curiosità, aneddoti e un meraviglioso apparato fotografico che ripercorre tutte le tappe di colui che come pochi altri artisti americani ha saputo raccontare il Paese a strelle e strisce. Un poeta ammirato anche dai grandi epigoni della beat generation, come Allen Ginsberg il quale ascoltando le prime prove musicali di Dylan disse: «Ha portato la poesia nei jukebox».

Il 27 dicembre 1967 Bob Dylan pubblica l’album John Wesley Harding, il «primo disco di rock biblico» secondo la definizione che lo stesso cantautore darà successivamente a questo album di musica country. Era la prima volta che veniva usata una tale definizione. Eppure di “rock biblico” Dylan ne aveva già prodotto parecchio a partire dai primi anni Sessanta, da quando aveva cominciato a incantare il mondo con la sua musica e la sua inconfondibile voce. Questo «rock biblico», la sua natura, la sua estensione, i suoi confini, è il tema del saggio di Renato Giovannoli La Bibbia di Bob Dylan (Ancora, pagine 378, euro 26,00).

Questo primo volume tocca la produzione dal 1961 al 1978 (e porta come sottotitolo Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione), il secondo, che uscirà il prossimo autunno, comprende il decennio 1978-1988 ( Il periodo “cristiano” e la crisi spirituale) mentre il terzo volume, previsto per la primavera del 2018, arriva fino al 2012, cioè fino a Tempest, per ora l’ultimo album con testi originali di Dylan, con il titolo Un nuovo inizio e la maturità. Fino al 2012 arriva anche il terzo volume delle Lyrics tradotte da Alessandro Carrera (Feltrinelli. Pagine 454. Euro 20,00) come continuazione della precedente monumentale opera in unico volume che però si era fermata al 2002. La concomitanza temporale dell’uscita di questi due volumi è favorevole anche perché incrocia un altro evento, il conseguimento del premio Nobel da parte di Dylan che i primi di giugno ha consegnato anche il discorso ufficiale richiesto dal regolamento del premio e che la segretaria dell’accademia, Sara Danius, ha definito «discorso straordinario » ed «eloquente».

Insomma giunto a 76 anni Bob Dylan non smette di stupire e di far parlare di sé, magari continuando a spaccare il mondo in fan incalliti e detrattori scatenati. I due studiosi italiani, Renato Giovannoli e Alessandro Carrera, sono dei fan ma non solo, come spiega Carrera nel saggio introduttivo al primo volume dell’opera di Giovannoli, opera «la cui crescita ho seguito nel corso degli anni grazie all’amicizia che mi lega al suo autore e che è nata proprio dal comune interesse per Dylan. Nessuno di noi è solamente un fan, anche se un po’ lo siamo. Siamo venuti per studiare Dylan, non per celebrarlo ed è passato così tanto tempo da quando abbiamo iniziato a occuparci di lui che non sappiamo più se possiamo ancora mantenere una certa distanza critica». La passione per Dylan si avverte in queste due trilogie che però restano due grandi opere di studio, serio e approfondito e quanto mai documentato. L’opera di traduzione da parte di Carrera è a dir poco preziosa per il grande pubblico italiano, anche se oggi, dopo la vittoria del Nobel, il rischio di “ridurre” Dylan a poeta è più alto di ieri, per fortuna lo stesso cantautore nel succitato discorso ha precisato l’ovvia verità che i suoi sono testi di canzoni, creati per essere quindi suonati e cantati. D’altra parte La Bibbia di Bob Dylan di Giovannoli, l’intuizione è sempre di Carrera, è un testo che vale in entrambi i sensi: «Non è solo la guida più completa alla Bibbia secondo Bob Dylan, o a Bob Dylan secondo la Bibbia. […] Tante introduzioni sono possibili a Dylan: musicali, poetiche, sociologiche, politiche. Ma la Bibbia è l’accesso privilegiato».

L’iperbole per cui non c’è testo di Dylan che non abbia almeno un riferimento biblico, più o meno esplicito, non è poi così iperbolica come è dimostrato da questo primo meticoloso e ponderoso volume di Giovannoli che rappresenta un unicum non solo in Italia ma anche all’estero. L’ennesima prova del nesso vitale tra le canzoni di Dylan e il testo biblico sta proprio nell’omissione che Dylan ha compiuto nel citare le sue fonti principali all’interno del discorso ufficiale per il Nobel: ha infatti menzionato la musica di Buddy Holly e poi tanta poesia, in particolare John Donne, soffermandosi su tre libri per lui fondamentali, Moby Dick, Niente di nuovo sul fronte occidentale e l’Odissea. La Bibbia non l’ha citata, proprio perché non è un “altro” libro a fianco di questi, ma molto di più, parafrasando Shakespeare (usando così un’immagine cara allo stesso Dylan): la Bibbia è «la stoffa con la quale sono fatti i suoi testi». E non solo e non tanto la Bibbia ebraica, come si potrebbe pensare data l’origine semita di Robert Allen Zimmerman, nato da Abraham e Betty a Duluth il 24 maggio 1941, ma soprattutto la Bibbia cristiana, più precisamente la King James Version, la Bibbia di Re Giacomo che, come ricorda Northrop Frye, è il Grande Codice della letteratura occidentale. Antico e Nuovo Testamento queste sono le due parti del grande codice dylaniano, un codice oggi più accessibile grazie all’opera di due seri e competenti studiosi italiani.

E Bob Dylan incontrò Cristo, di Marco Ventura

tratto da https://francescomacri.wordpress.com/2017/03/06/e-bob-dylan-incontro-cristo/

Il 17 novembre 1978 Bob Dylan è in concerto a San Diego. Qualcuno dal pubblico lancia sul palco una piccola croce d’argento. Il cantautore si china, la raccoglie, la conserva. La notte seguente, nella sua stanza in un hotel di Tucson in Arizona, Dylan si fruga in tasca. Trova quella croce; la mette al collo. E incontra Gesù. Seguono la trilogia gospel, le predicazioni del Vangelo durante i concerti, l’annuncio dell’Apocalisse in un mondo sempre più analfabeta di Dio: «Sappiamo che il mondo sarà distrutto. Lo sappiamo bene. Gesù instaurerà il suo Regno a Gerusalemme per mille anni, nel quale il leone e l’agnello giaceranno insieme. L’avevate mai sentita questa cosa? Mi piacerebbe sapere quanta gente ci crede davvero».

La conversione del futuro premio Nobel, poco meno di quarant’anni fa, è al centro della psicobiografia di Dylan pubblicata da Oxford University Press negli Stati Uniti all’inizio dell’anno e in uscita a fine mese per il mercato britannico e europeo: Light Come Shining. The Transformations of Bob Dylan («Luce che arriva splendente. Le trasformazioni di Bob Dylan»). Per l’autore, lo psicologo scrittore americano Andrew McCarron, la conversione al cristianesimo segue un copione fondamentale nella vita dell’artista, già vissuto in occasione della crisi del 1966, quella che coincise con il misterioso incidente di motocicletta, e che un decennio dopo la rinascita da cristiano si sarebbe riproposto in quel bar di San Rafael, in California, dove nel 1987 Dylan sperimentò una nuova trasfigurazione in seguito alla quale ritornò a produrre musica.Di quel copione, Andrew McCarron descrive le fasi. Una crisi esistenziale, fisica e creativa che sprofonda il cantante nel senso di un imminente pericolo, nella perdita di identità e nella paura della morte; l’aggrapparsi alla musica dell’adolescenza, ai suoni e alle parole che hanno formato il giovanissimo Robert Zimmerman (vero nome di Bob Dylan), al destino che lo ha sempre spinto verso la più autentica realizzazione di sé; e infine la rinascita e la trasformazione di un uomo che ritrova la direzione.La struttura del copione si reitera nelle tre grandi crisi ed è espressa dalle canzoni che McCarron individua come rappresentative di ciascuno dei grandi momenti di passaggio, e il cui particolare significato è documentato dalla speciale attenzione ad esse riservata dallo stesso Bob Dylan. I Shall Be Released del 1967, In the Garden del 1979 e Where Teardrops Fall del 1989 testimoniano lo smarrimento, la caduta, la paura, e poi la risalita, il ritorno alla coscienza del proprio destino, la rinascita conseguente.Se il tema religioso è decisivo nella conversione al Vangelo dell’ebreo Bob Dylan, esso è tuttavia fortemente presente anche negli altri due momenti chiave. La rinascita dopo l’incidente di moto del 1966 è, con le parole dello stesso Dylan, un’esperienza di «trasfigurazione» come quella di Gesù nel Vangelo di Matteo, il preferito dall’artista. Le tre canzoni, scrive McCarron, si richiamano l’una all’altra e narrano una storia pervasa di «ispirazione biblica» che rispecchia la stessa «frastagliata esperienza di lotta, destino e trasformazione» vissuta da Dylan. Il tema religioso è anche fondamentale nel ritorno costante alle canzoni che l’adolescente Robert ascoltava alla radio o nei giradischi portatili degli anni Cinquanta, che un Dylan più maturo descrisse come il suo «vocabolario» e il suo «libro di preghiere».In un’intervista sulla sua religiosità concessa al «New York Times» nel 1997, Bob Dylan spiegò come tutto risalisse proprio a «quelle vecchie canzoni»: «Credo nel Dio del tempo e dello spazio. Ma se davvero me lo chiedono, d’istinto mi volto indietro e penso a quelle canzoni. Credo in Hank Williams che canta I Saw the Light . Anche io ho visto la Luce». Dunque, commenta McCarron, Hank Williams e gli altri «vecchi cantanti» trasmisero certo a Bob Dylan un modo di suonare la

chitarra o una tecnica vocale, ma lo immersero anche in un mondo rurale in cui gli unici libri in casa erano la Bibbia di re Giacomo e l’ Almanacco del contadino , in una cultura americana profondamente influenzata dal risveglio evangelico ottocentesco, e gli insegnarono soprattutto come «orientarsi nel mondo».

McCarron dichiara di non volersi impegnare in una delle tante ricostruzioni enciclopediche della vita dell’icona. Non vuole essere uno dei mille dylanologi con l’ossessione del dettaglio. Usa la tecnica narrativa della psicobiografia, avvolge il lettore in una trama fittamente documentata e argomentata, per avvicinarsi all’essenza. Le trasformazioni di un Dylan proteiforme e mai statico, conclude McCarron, rispondono alla preoccupazione incessante di essere fedele al proprio destino; alla paura, espressa da Dylan stesso, di non realizzare ciò cui si è chiamati: «Quanta gente non riesce a diventare ciò che avrebbe dovuto essere. Sono tagliati fuori. Se ne vanno per un’altra strada. Succede molto spesso. Tutti conosciamo gente a cui è accaduto. Li riconosciamo per strada». A lui no, a Bob Dylan non è accaduto. «Dylan lascia intendere di non sentirsi come loro», scrive McCarron: «Egli è uno dei pochi trasfigurati».In questa luce, la conversione del 1978 non è un episodio isolato, né tanto meno l’irruzione improvvisa di una ispirazione religiosa in una vita fin lì insensibile a Dio. Non soltanto di riferimenti religiosi è disseminato il percorso artistico di Dylan, che del resto etichettò come opera pionieristica di «rock biblico» il suo primo album dopo l’incidente di moto, John Wesley Harding del 1968. Molto più significativamente, sostiene McCarron, l’elemento religioso è parte integrante del copione che accompagna le grandi cesure della vita del cantante: la perdita di scopo e di identità che lo rende vulnerabile al pericolo e alla morte, la risoluzione della crisi attraverso il recupero delle canzoni della giovinezza, la rinascita con un rinnovato senso di scopo e di sé.Il copione si rinnova nel momento della conversione, quando pesano esperienze religiose di Dylan come la frequentazione del gruppo Jews for Jesus, l’esposizione alla New Age californiana, e la stessa esperienza di discendente di ebrei fuggiti dalla persecuzione nell’originaria Lituania. Il fulcro della trasfigurazione, stavolta, è Gesù; nel cui nome Bob Dylan nasce ancora una volta. Born again Christian : «Ti svegli un giorno e sei rinato, sei divenuto un’altra persona. Se ci pensi fa paura. Accade sul piano spirituale, non su quello mentale». Non è la prima rinascita, e non sarà l’ultima, di un uomo che si è tante volte trasfigurato per essere fedele al suo destino.

Bob Dylan, la religiosità stelle e strisce

di Maria Teresa Pontara Pederiva

tratto da https://francescomacri.wordpress.com/2018/03/27/bob-dylan-la-religiosita-stelle-e-strisce/

Arriva in questi giorni in libreria l’ultimo volume di una trilogia che l’editrice Àncora ha voluto dedicare a Bob Dylan, una figura che ha contribuito in maniera determinante a raccontare la storia della musica del Novecento e ancora di oggi. Il motivo di una scelta, forse a prima vista quantomeno inattesa, è presto detto: il celebre cantautore, di nome Robert Allen Zimmerman, nato in Minnesota nel 1941, in arte Bob Dylan (che la rivista Rolling Stone ha collocato nel 2015 in testa ai migliori 100 cantautori contemporanei), rappresenterebbe addirittura un «capitolo cruciale e complesso della religiosità americana».

Alla vigilia del Tour in Italia con 9 appuntamenti nel mese di aprile (tutti Sold out) l’opera, per la Collana “Maestri di Frontiera”, è destinata a suscitare una certa curiosità.La Bibbia secondo Bob Dylan o Bob Dylan secondo la BibbiaDi fatto, per dirla con quanti hanno indagato sulle sue canzoni, Dylan, nel corso della sua carriera, ha attraversato virtualmente ogni stadio dell’esperienza religiosa disponibile all’anima americana. Ne è convinto, per fare un esempio, Alessandro Carrera, docente a Houston in Texas e autore di alcuni testi su Dylan e anche del saggio introduttivo contenuto nel 1° dei poderosi volumi della trilogia (rispettivamente 384, 336 e 432 pagine) a firma di Renato Giovannoli.L’autore, nato nel 1956 in Romagna, docente di filosofia in un liceo di Lugano, giornalista e scrittore, ha analizzato testi e citazioni con riscontri inediti: quella che emerge si configura come un’analisi complessa o, meglio, una sorta di guida alla Bibbia secondo Bob Dylan o a Bob Dylan secondo la Bibbia. Complessa perché a dir poco enigmatica è la figura del settantasettenne cantautore (cui è stato attribuito due anni fa, non senza polemiche, il Premio Nobel per la letteratura) e molto spesso criptici si presentano i testi delle sue canzoni.Secondo Carrera, è proprio la Bibbia, «il Grande Codice che ha plasmato il linguaggio e l’immaginario della cultura occidentale e di quella americana in particolare», la chiave principale per decifrare il mistero Dylan e la trilogia di Giovannoli rappresenta anzitutto «un commento in prospettiva biblica dell’intero canzoniere dylaniano, ma anche un’inedita biografia spirituale di Dylan attraverso le sue canzoni». O, se vogliamo, una sorta di manuale cui attingere per conoscere meglio una figura che, nonostante sia un personaggio ampiamente seguito dalle cronache e pure assai premiato – il Nobel del 2016 è solo l’ultimo atto di una lunga serie iniziata con il Grammy Award alla carriera nel 1991, il Polar Music Prize nel 2000 e l’Oscar nel 2001 – per certi versi si può definire ancora avvolta dal mistero.Numerosissime sono infatti le chiavi di lettura che hanno tentato di decifrare le sue canzoni – sociologiche, poetiche, politiche – ma questa volta è la Bibbia a fungere da accesso privilegiato, anzi, per Carrera forse questo sarebbe addirittura l’unico accesso che possa davvero definirsi univoco e globale.Per i cultori di musica rock i testi della trilogia costituiscono poi il più vasto repertorio mai compilato delle citazioni bibliche presenti nelle composizioni di Dylan evidenziando sia la ripresa che l’intreccio con testi precedenti sia colti che popolari (ballate, spirituals, gospels, blues). «L’opera di Dylan – si legge nel 2° volume – è un’enciclopedia della musica popolare americana e ogni periodo della sua produzione è un capitolo di questa enciclopedia, scritto con una profondità, e anzi vissuto con un’intensità stupefacenti in un autodidatta come lui». «Nessun bianco avrebbe potuto eguagliare la sua appropriazione del gospel e del rhythm and blues» ha scritto Carrera.Un percorso umano e artistico non senza contraddizioniUno dei riferimenti più significativi è quel richiamo al «comandante supremo» che il cantautore indicava, non senza ironia, in un’intervista del 2004 all’emittente CBS, insieme a quella convinzione strisciante di essere parte di un destino da compiere e che lo spingerebbe a tener fede al suo impegno nonostante i tanti anni di militanza trascorsa.Secondo Giovannoli – che ha lavorato a questa ricerca per una decina d’anni – per Dylan si tratterebbe di una specie di contratto stipulato con il comandante in capo (alias Dio): «Io rimango on the road fino a quando mi regge il fiato, e tu mi fai arrivare dove nessun altro, nella nobile arte di scrivere e cantare canzoni, è mai arrivato». Nessuno sa dire ovviamente se questo è davvero l’intento di Dylan, ma è verosimile crederlo.Nato e cresciuto in una famiglia ebrea non osservante, Dylan è approdato, non senza un lungo travaglio interiore (fatto di fermate, inversioni di rotta, slanci in avanti), al cristianesimo evangelico nel 1979, un percorso che si ritrova in numerose strofe dei suoi canti e ballate (spesso con citazioni di seconda mano) tanto che ai giornalisti che lo intervistano giunge ad affermare: «Dio lo sento nel cuore». Per dichiarare poi inaspettatamente: «Io trovo religiosità e filosofia nella musica… Le canzoni sono il mio vocabolario. Credo nelle canzoni».Il primo volume, per dirla con l’autore, rappresenta un po’ il periodo classico di Bob Dylan, protagonista della grande stagione del pop-rock degli anni ’60-’70; il secondo tratta invece della crisi spirituale e della conversione negli anni 1978-1988, mentre il terzo (1988-2012) è dedicato alla maturità umana e professionale dell’artista.Forse è superfluo sottolineare come la lettura si rivela decisamente più immediata se il lettore può contare su una buona conoscenza sia della Scrittura che della lingua inglese dal momento che Giovannoli riprende costantemente termini o interi versetti biblici accostandoli in parallelo con i testi del cantautore. Un’operazione perfettamente riuscita soprattutto nel secondo volume dove si legge: «… un esempio di come Dylan componga i suoi versi grazie ad un attento studio della Bibbia basato sulle concordanze, anche a dimostrazione di come in questo periodo tutti i suoi versi, anche i più strani, siano strettamente aderenti alla lettera del testo biblico».Ecco allora una delle canzoni più belle dell’album uscito nell’agosto 1979 Slow Train Coming, I Believe in You (“Io credo in te”, e non si può non ricordare che I Believe è anche l’incipit della professione di fede all’interno della messa).Ciononostante, le contraddizioni sono dietro l’angolo, come accaduto nell’autunno 2009 quando fu pubblicato Christmas in the Heart (Natale nel cuore), un album di cover di canti natalizi popolari: quanti si aspettavano un disco a sfondo religioso – annota Giovannoli – restarono delusi. Sei canzoni su 15 (tra cui Adeste fideles cantata solo in parte in latino) sono sì a carattere religioso senza però distanziarsi da quel genere americano dei canti natalizi politically correct (di fatto la copertina raffigura una modella in abiti di Santa Claus e una slitta…).Altrove afferma che la sua fede è come una strada in cui «non ci sono altari». Ma scrive pure Man can’t live by bread alone(l’uomo non può vivere di solo pane).Ma suoi ispiratori sono anche Omero e John Lennon…, davvero un esempio della “religiosità” popolare americana.A dir poco straordinario è l’indice analitico per capitoli, quello delle canzoni e, infine, l’indice per temi, simboli e personaggi che occupa un centinaio di pagine, quasi un’appendice del 3° volume. A completamento di una trilogia che è già un classico per chi intenda addentrarsi nella Bibbia secondo Bob Dylan.

La Bibbia di Bob Dylan, di Gianfranco Ravasi

tratto da https://francescomacri.wordpress.com/2018/09/02/la-bibbia-di-bob-dylan/

«Per noi fascisti le frontiere sono sacre. Non si discutono: si difendono». Così proclamava con l’enfasi che gli era incorporata Benito Mussolini nel discorso del 16 marzo 1938 alla Camera dei deputati. Parole che, declinate in forme diverse, sono sulle labbra dei nazionalisti e dei sovranisti di ogni tempo, compreso l’attuale. Ben differente è la concezione dell’autentica cultura che, senza ignorare le identità, riconosce che il vero sapiente è methórios, cioè colui che sta «sul confine» dove si allargano i diversi territori, pronto sempre a valicarli per scoprire nuovi orizzonti: il vocabolo greco è del filosofo ebreo alessandrino del I sec. d.C. Filone. Un suo contemporaneo, l’apostolo cristiano Paolo di Tarso, non esitava a dichiarare che «non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28), e scrivendo ai cristiani di Colossi allargava lo spettro delle frontiere introducendo «i barbari e gli sciti» (Colossesi 3,11).

Ora, l’editrice milanese Áncora da tempo ha inaugurato una collana intitolata proprio «Maestri di frontiera», rimandando a una particolare tipologia di persone: non credenti, forse agnostiche o indifferenti o provocatrici, non esitano però ad affacciarsi sulla regione della trascendenza e della fede, scrutandola come un abisso infernale o un Eden paradisiaco o semplicemente come una terra ignota, diversa rispetto a quella ove sono impiantati i loro piedi. Spesso, poi, accade che costoro, a differenza degli immobili e roboanti sciovinisti, sono persone dinamiche, convinte che le frontiere non sono ad est e ad ovest, a nord o a sud, ma dove un uomo incontra e si scontra con l’altro. È quello che suggeriva uno degli scritti più originali del primo cristianesimo, la cosiddetta Lettera a Diogneto, la quale, paragonando la presenza onnicomprensiva dell’anima nel corpo umano, affermava che «i cristiani abitano ciascuno la loro patria ma come forestieri… Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è terra straniera».Ebbene, se scorriamo l’elenco dei volumi della collana a cui accennavamo, ci imbattiamo in una pattuglia di scrittori veramente methórioi, da Pirandello a Pasolini, da Pavese a Buzzati, da Quasimodo a Cristina Campo, da Saint-Exupéry ad Antonia Pozzi, da Flannery O’Connor a Beckett. Ma ci incontriamo anche con un variegato arcobaleno di voci di cantautori, da De André a Gaber, da Baglioni a De Gregori, da Branduardi e Battiato fino a Vasco Rossi, e non manca persino una puntata nel mondo delle «strisce» col delizioso e geniale Snoopy, il cane inventato dalla matita di Charles Schulz, l’autore dei Peanuts con Linus, Charlie Brown e Lucy. Ora la collana introduce un vero e proprio monumento cartaceo eretto in onore del Nobel 2016 Robert Allen Zimmerman, alias Bob Dylan.Un ricercatore, Renato Giovannoli, consacra infatti a questo personaggio qualcosa come 1132 pagine distribuite in 3 tomi (il solo apparato degli indici occupa ben 110 pagine), e non per una biografia generale, bensì solo per tratteggiare la presenza della Bibbia nell’opera e nella vita di Dylan. È, però, vero che questo monumentale saggio riesce a ricomporre anche un ritratto completo del «menestrello», facendo emergere in filigrana la sua vicenda interiore e il suo complesso e variegato rapporto con la religione. D’altronde anche gli interessi di Giovannoli, testimoniati dalla sua bibliografia, lo rivelano come un uomo di frontiera che passa dallo studio della fantascienza a quello del poliziesco fino alla radiografia biblicofilosofica di un personaggio così sfuggente com’è Lewis Carroll con la sua Alice, immersa nel paese delle meraviglie oltre le frontiere del reale.Chi si accinge a vivere l’avventura proposta da questo studioso deve sapere che s’imbatterà in pagine che sono un costante palinsesto o, se si vuole, un intarsio per cui avrà la possibilità di leggere quasi tutti i testi di Dylan e di penetrare negli angoli più segreti della sua mente, anima e cuore, anche perché la trilogia scandisce altrettante fasi biografiche. Si parte nel 1961 quando il cantante ebreo del Minnesota è ventenne ed entra in scena come un «profeta minaccioso», nutrito di protesta; ma ben presto egli s’affaccia sull’orizzonte mistico-escatologico-apocalittico, che lo alonava fin dalla sua nascita, per poi attraversare una foresta di «parabole enigmatiche» che sfociano in una vera e propria innologia orante, in un’eucologia sacrale (ad esempio, «Ringrazierò sempre il Signore» o «Padre della notte, Padre del giorno, Padre che porti via le tenebre»).Ormai accanto a lui si leva anche una «mystical wife» che non gli risparmia però la solitudine della «notte oscura». Tuttavia, l’alba è in agguato e, proprio secondo la legge dell’oscillazione delle frontiere, ecco la sua conversione al cristianesimo che lo conduce nel 1979 al battesimo all’interno di una comunità evangelica. Si inaugura, così, l’arco dei «Salmi, inni e spiritual songs» (citazione paolina) che Giovannoli vaglia con un’impressionante acribia esegetica. Ma, per quella mobilità che era sua insegna, nel 1981 si notano i segni di una crisi e di un’evoluzione. In filigrana permane il grande codice biblico che per lui è come il vocabolario a cui attingere per cristallizzare nelle parole e nella musica l’incandescenza della sua ricerca che non esita a contaminarsi anche con altre espressioni artistiche, come l’iconografia cristiana (ad esempio, Mantegna o Bosch o Signorelli o Blake). Siamo nel 1988 e Dylan sembra precipitato fuori dal groove (come dice il titolo di un suo album), cioè dal «solco» della vita che è anche, in inglese, il tracciato del vinile. Ma questa caduta apocalittica non è per una morte spirituale. È, invece, la nuova frontiera che lo conduce all’ultima fase esaminata da Giovannoli che va fino al 2012 e che è definita come «un nuovo inizio e la maturità».Qui le iridescenze sono molteplici e il critico deve lavorare con estrema acribia per individuare sia i rimandi biblici – che talora sono solo ammiccamenti e allusioni – sia il cammino della rinascita di Dylan che ha nell’album On Mercy (1989) il suo vessillo. La cronologia e la produzione comprendono un arco molto ampio ove elementi religiosi s’intrecciano ad arabeschi esoterici, trasparenze cristiane come Christmas in the Heart (con l’Adeste fideles) si accosta a una impudica Charlotte the Harlot, che echeggia la Grande Prostituta dell’Apocalisse, posta però in contrasto con una Mary che, secondo Giovannoli, sarebbe la madre di Gesù.Fermiamoci qui in questa evocazione «impressionistica» di un lavoro «impressionante» attorno a un autore così proteiforme e spesso indecifrabile che, però, indubbiamente si è non solo affacciato ma ha varcato la frontiera della religiosità usando come passaporto la Bibbia, il cui repertorio di citazioni e allusioni è minuziosamente catalogato da questa trilogia che è ben più di un’esercitazione tematica «esegetica» ma – come si diceva – una vera e propria biografia spirituale e culturale del «menestrello». Un personaggio – se è lecita un’appendice personale – che ho avuto l’occasione di ascoltare e vedere dal vivo in un contesto sorprendente: al congresso eucaristico di Bologna il 27 settembre 1997, mentre si esibiva davanti a Giovanni Paolo II, proprio col suo celebre Blowin’ in the Wind.

  1. The History Of Rock Music. Bob Dylan: biography, discography, reviews, links, su scaruffi.com. URL consultato l'11 settembre 2017.
  2. 2,0 2,1 2,2 Bob Dylan, su allmusic.com. URL consultato l'11 settembre 2017.
  3. (EN) Folk-Rock, su allmusic.com. URL consultato l'11 settembre 2017.
  4. (EN) Folk rock, su britannica.com. URL consultato l'11 settembre 2017.
  5. (EN) Bob Dylan, Plagiarist?, su thoughtco.com. URL consultato l'11 settembre 2017.
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