Johann Sebastian Bach

Da Semi del Verbo, l'enciclopedia dell'influenza del Vangelo sulla cultura
Johann Sebastian Bach
Elias Gottlob Haussmann, Ritratto di Johann Sebastian Bach 1748, olio su tela - Lipsia, Bach-Archiv

16° Thomaskantor di Lipsia
Durata mandato 15 maggio 1723 –
28 luglio 1750
Predecessore Johann Kuhnau
Successore Johann Gottlob Harrer

Dati generali
Firma Firma di Johann Sebastian Bach

Johann Sebastian Bach (pronuncia tedesca [ˈjoːhan zeˈbastjan ˈbax],[1] in italiano spesso pronunciato /ˈbak/[2]; Eisenach, 31 marzo 1685[3]Lipsia, 28 luglio 1750) è stato un compositore e musicista tedesco del periodo barocco, 16° Thomaskantor di Lipsia dal 1723 alla morte.

Considerato uno dei più grandi geni nella storia della musica,[4] le sue opere sono notevoli per profondità intellettuale, padronanza dei mezzi tecnici ed espressivi e per bellezza artistica. La sua fama è dovuta all'ampio e magistrale utilizzo del contrappunto e all'organizzazione armonica e tematica delle sue opere e all'inclusione di temi e motivi sacri (specialmente dalla musica sacra del culto luterano) e profani, oltre che alla capacità di padroneggiare i diversi stili nazionali (principalmente lo stile tedesco, quello italiano e quello francese, che approfondì). È considerato uno dei massimi maestri dei generi musicali del canone, della cantata e della fuga.

Bach fu polistrumentista (suonava sia strumenti a tastiera sia ad arco, anche se era noto principalmente come organista) e compositore estremamente prolifico (l'indice delle sue opere, il Bach-Werke-Verzeichnis o BWV, supera il migliaio di titoli) sia di musica strumentale sia di musica vocale; compose per strumenti a tastiera decine di opere per organo (tra cui preludi, toccate, fughe, fantasie, sonate, adagi, concerti, i Preludi corali di Lipsia, l'Orgelbüchlein), clavicembalo (come il celeberrimo Clavicembalo ben temperato e le Variazioni Goldberg) e per complessi orchestrali (ad esempio i Concerti Brandeburghesi); dall'altra parte, oltre cento cantate, la Passione secondo Matteo, l'Oratorio di Natale, la Messa in Si minore e la Passione secondo Giovanni. L'Offerta musicale da lui donata a Federico II di Prussia e l'incompiuta Arte della fuga sono oggi considerate tra le opere più complesse e articolate della musica occidentale e due dei suoi vertici più elevati. Compose sia musica sacra sia didattica sia assoluta e un ruolo marginale ha nella sua opera la musica profana e secolare.

Operò una sintesi mirabile fra lo stile tedesco (di cui erano stati esponenti, fra gli altri, Pachelbel e Buxtehude) e le opere dei compositori italiani (particolarmente Vivaldi, del quale trascrisse numerosi brani, assimilandone soprattutto lo stile concertante).

La sua opera costituì la summa e lo sviluppo delle varie tendenze stilistico-compositive della sua epoca. Il grado di complessità strutturale, la difficoltà tecnica e l'esclusione del genere melodrammatico, tuttavia, resero la sua opera appannaggio solo dei musicisti più dotati e all'epoca ne limitarono la diffusione fra il grande pubblico, in paragone alla popolarità raggiunta da altri musicisti contemporanei come Händel o Telemann.

Dopo la sua morte, per motivi imputabili sia alle oggettive difficoltà tecnico-esecutive sia al cambio nel gusto imperante, la sua opera fu sostanzialmente dimenticata per quasi un secolo, sebbene celebri compositori quali Mozart e Beethoven ebbero modo di conoscerne e apprezzarne lo stile. Nel 1829 l'esecuzione della Passione secondo Matteo, diretta a Berlino da Felix Mendelssohn, riportò alla conoscenza di un vasto pubblico la qualità elevatissima dell'opera compositiva di Bach, che è da allora considerata il compendio della musica contrappuntistica del periodo barocco.

A lui sono dedicati l'asteroide 1814 Bach, il cratere Bach e l'omonima maglia sulla superficie di Mercurio.

Religiosità

La musica religiosa è stata al centro della produzione di Bach per gran parte della sua vita. Le centinaia di opere sacre che ha creato sono viste solitamente come manifestazioni non solo del suo mestiere, ma di una relazione veramente devota con Dio.[5] Egli aveva insegnato il Piccolo Catechismo di Lutero come Thomaskantor a Lipsia, e alcuni dei suoi pezzi lo rappresentano;[6] il corale luterano fu la base di gran parte del suo lavoro. Nell'elaborazione di questi inni nei suoi preludi corali, ha scritto opere più convincenti e strettamente integrate rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei, anche quando erano molto lunghe. La struttura su larga scala di tutte le principali opere vocali di Bach è la prova di sottili ed elaborati progetti di creare un'espressione religiosamente e musicalmente potente: ad esempio la Passione secondo Matteo, come altre opere del suo genere, non solo illustrava la Passione con testi biblici che si riflettevano in recitativi, arie, cori e corali, ma, nel comporre quest'opera, Bach ha creato un'esperienza complessiva che è stata trovata musicalmente elettrizzante e spiritualmente profonda.[7]

Alla fine di ogni sua composizione, soprattutto a quelle religiose ma anche ad alcune di quelle secolari, appose la firma "S.D.G." ossia "Soli Deo Gloria".[8] In omaggio a Bach, la frase fu scelta anche da Sir John Eliot Gardiner per il nome della sua etichetta discografica dopo essere andato via da Archiv Produktion, per continuare e completare il suo progetto sulle cantate di Bach. La canzone di Aaron Shust del 2009 dal titolo "To God Alone (be the Glory)" fu ispirata dalla stessa firma apposta da Bach in fondo alle sue partiture musicali.[9]

Molto devoto alla fede luterana, Bach pose molta attenzione nella musica sacra e gli inni luterani furono alla base di molte sue composizioni. Il suo interesse per la liturgia lo portò alla realizzazione di composizioni sacre elevatissime sia dal punto di vista tecnico sia da quello qualitativo.

Le cantate

Esclusi i periodi di quaresima e avvento, Bach eseguì una cantata diversa ogni domenica alla chiesa di San Tommaso a Lipsia, scritte su un tema che corrispondeva alle letture sacre della settimana, come stabilito dal calendario dell'anno liturgico della chiesa luterana.[10] In totale compose oltre 300 cantate sacre, di cui circa 195 giunte fino a noi.[11]

Le cantate variano molto nella forma e nella strumentazione le une dalle altre. Alcune sono per cantante solista, altre sono per il coro; alcune sono per orchestra, altre solo per pochi strumenti. Il loro formato standard, comunque, comprendeva un grande coro di apertura, seguito da recitativi e arie per solisti, o duetti, e un altro corale conclusivo. Il recitativo era parte della lettura della settimana della Bibbia e l'aria era una riflessione su di essa. Fra le cantate più note la Christ lag in Todesbanden BWV 4, la Ich hatte viel Bekümmernis BWV 21, la Ein feste Burg ist unser Gott BWV 80, la Ich habe genug BWV 82, la Actus Tragicus BWV 106, la Wachet auf, ruft uns die Stimme BWV 140 e la Herz und Mund und Tat und Leben BWV 147.

Inoltre Bach scrisse un certo numero di cantate profane, di solito da eseguire in manifestazioni civili come le inaugurazioni dei consigli municipali. Queste includono anche una cantata nuziale, la Cantata dei contadini e la Cantata del caffè.

Arte di vivere: una riflessione sull'armonia

«A lungo, ho avuto paura di Bach. Lo vedevo severo, alto, perfetto, integro, implacabile, dal giudizio più giusto che benevolo, come il Dio dell’Antico Testamento che, al di sopra di nuvole nere e corrucciate, tiene in una mano il fulmine, nell’altra la tavola delle leggi. Bach m’impressionava. Pensavo di non meritare Bach. Quando qualcuno mi diceva di adorarlo, io stringevo le spalle, cosciente di trovarmi di fronte a uno spirito dalla moralità superiore; a fior di labbra confessavo allora il mio amore per Mozart, Schubert, Chopin, Debussy, consapevole di non citare che dei prossimi, dei teneri, dei sensuali - dei fratelli, insomma, non il Padre! Tuttavia, quando la sua musica mi sorprendeva, sfuggita da una radio, inserita in un film, io l’amavo spontaneamente. Essa mi pareva viva, effusiva, profonda, procurandomi una emozione senza mezzi termini. Appena mi si spiegava che era Bach, avevo un senso di colpa: se l’avevo spontaneamente amato, allora l’avevo mal amato! Per forza! Con gli anni, collezionavo dei brani favoriti di Bach in un giardino segreto, protetto da mura, al riparo di tutti, senza parlarne mai; era un frutteto fresco, verde, gioioso, dai colori netti e delicati, dai frutti succosi, gustosi. Io amavo Bach nella vergogna. Nella vergogna di me. Nella vergogna d’essere un adoratore indegno. Poi, un giorno - o piuttosto una notte - nel deserto del Sahara, mi è stata donata la fede. A partire dal momento in cui ho creduto in Dio, i miei rapporti con Bach sono cambiati -a dire il vero, tutti i miei rapporti sono cambiati, ma è un’altra storia. Johann Sebastian Bach è divenuto un compagno spirituale, qualcuno che esprimeva in modo definitivo e musicale ciò che io cominciavo appena a sentire. Non si parla mai del ruolo dei musicisti nella nostra vita spirituale; questo è tuttavia così grande, così intenso. Bach parla di un universo dove Dio è evidente. Quando lo si ascolta, si è di fronte a un mondo ordinato, colmo di senso, dotato di una vitalità senza fine. Io ero nato anemico in una civiltà nichilista. Con Bach divenni robusto in un universo pieno. Di brano in brano, faceva salire dei gradini alla mia fede. Perché? Perché Bach non ha paura dei sentimenti semplici. È senza dubbio per questo che m’impressionava tanto. Osa essere allegro, gioioso, rallegrarsi! Non esita a gridare Gloria o Magnificat. Molto spesso, la maggior parte delle volte, la sua opera esprime questo sentimento teologico, la gioia, questa riconoscenza d’esistere, questo giubilo del debito. «Gesù, che la mia gioia rimanga». Quando si sfoga, è coltivandone l’emozione, non il pathos. Enuncia sentimenti che ci legano agli altri, non quelli che ci isolano -stringendo i legami tra noi. Se parla della morte, è per consentirvi, per accoglierla, «Vieni, dolce morte». In musica, grazie a lui, io medito serenamente sul trapasso. Anche se è più spaventosa della vita, la morte è pure un presente; come dobbiamo imparare a ricevere il dono della vita, così dobbiamo imparare a ricevere il regalo della morte. Su questo soggetto difficile, vi consiglio di immergervi per ore nelle armonie di Bach, ne uscirete pacificati, cresciuti dall’essere divenuti più piccoli. Colette, un giorno, aveva chiamato Bach «la divina macchina da cucire». Come sua abitudine, aveva ragione: come un’umile cucitrice al servizio di Dio, Bach lavora sulla trama dell’universo, ha confidenza nella sua solidità, passa del tempo ad assemblarne gli elementi, a prendersi cura dei dettagli. Come una sarta, lavora per noi, non per sé. Vuole che ci sentiamo bene nei suoi abiti musicali: gesti fluidi, fiducia nelle cuciture, fede nella resistenza dei materiali, eleganza discreta e, soprattutto, la possibilità di danzare senza distruggere niente, danzare per ore per vivere la gioia.»

(Eric-Emmanuel Schmitt, Avvenire, 2/3/2008)

La Messa in si minore

Al termine del sec. VII con il pontificato di Sergio I, si stabilisce l'assetto definitivo del rito eucaristico. Intorno alla liturgia della Parola si sviluppa un grande numero di canti con varie e specifiche funzioni, suddivisibili in due sezioni: il Proprium Missae e l'Ordinarium Missae.

Al Proprium Missae, appartengono l'Introito (o Canto d'ingresso: introduce l'assemblea liturgica nel contesto celebrativo, sottolineando le tematiche di fondo del giorno), il Graduale, il Tractus (canto salmodico meditativo proprio del periodo quaresimale), l'Acclamazione al Vangelo, l'Offertorio (rito della presentazione del pane e del vino), e la Comunione. Si tratta di un insieme di canti il cui testo sottolinea profondamente le tematiche della celebrazione per cui sono stati scelti. Questi canti rimangono così legati a festività particolari, ad esempio la celebrazione delle festività dei Santi, la Pasqua ecc. Sono frutto dell'esperienza gregoriana sviluppatasi tra il sec. VI e il sec. VIII.

All' Ordinarium Missae appartengono cinque canti: il Kyrie Eleison, il Gloria in Excelsis Deo, il Credo, il Sanctus, l' Agnus Dei. Il testo di questi rimane invariato per ogni celebrazione, e dà modo ai compositori di musicarlo ogni volta in modo diverso. Tale fenomeno ha fatto sì che nella produzione musicale liturgica si accogliessero pian piano stilemi melodici propri di vari contesti culturali, implicando sperimentazioni compositive, influenze da parte della musica profana, e prassi esecutive diverse.

Questa origine e specificità dei canti del Proprium e dell' Ordinarium, ha fatto sì che per praticità il primo rimanesse legato ad una tradizione gregoriana, mentre il secondo, in contrapposizione, facesse capo ad una tradizione polifonica.

  • Nel sec. IX abbiamo le prime testimonianze scritte di un intervento sulle melodie monodiche per dilatarne la consistenza timbrica. Tale prassi è detta Organum, e accompagna la voce gregoriana con una seconda voce in modo parallelo a intervalli regolari.
  • Pratiche di polivocalità sono progressivamente elaborate, e dal canto nota contro nota, si passa a differenziare il ritmo, la durata delle note, con in più l'aggiunta di una terza voce (omoritmia, poliritmia, contrappunto, notazione). Dalla fase di improvvisazione si passa all'elaborazione di trattati teorici a riguardo.
  • Nasce definitivamente la polifonia in cui si distingue in modo forte la produzione liturgica parigina di Notre Dame.
  • Nel 1377 Guillaume de Machaut compone interamente una Messa.
  • L'esperienza fiamminga raccoglie attorno a sé un insieme di musicisti possedenti la tecnica più raffinata.

Lo sviluppo tecnico-compositivo e la sensibilità estetica del primo '600 favoriscono tuttavia nuovi generi e nuovi stili di musica sacra che attirano maggiormente l'attenzione e l'interesse di compositori. Nuove esplorazioni delle ripercussioni sonore nello spazio architettonico favoriscono fenomeni come quello dei cori spezzati in Italia settentrionale o della policoralità tipica della scuola romana con un organico di 4 cori, da 4 a 16 voci. Lo stile concertistico strumentale si introduce anche nelle composizioni liturgiche, e grazie alla maestria dei musicisti napoletani si hanno presto ouvertures e sinfonie orchestrali quali parti integranti della Messa.

Concludendo, si può dire che la Messa si prepara a divenire una realtà estremamente complessa. Ogni sua realizzazione dovrà trovare l'equilibrio tra l'espressione autentica della fede e la manifestazione di una genuina opera d'arte.

Nell'accostarsi a Bach e nel prendere coscienza del mondo spirituale e culturale che lo circonda è indispensabile sottolineare la funzione esercitata dall'organizzazione del culto, che è diversa da luogo a luogo, poiché Lutero, nel fissare le regole fondamentali del servizio liturgico, non aveva inteso rendere obbligatoria una determinata forma liturgica, ma aveva concesso alle singole comunità di organizzare il culto secondo le modalità a esse meglio confacenti, nel rispetto dello schema tipico dell'ufficiatura cattolica e facendo del momento del Sermone, comunque, il punto forza della celebrazione liturgica. Non è però soltanto la disposizione liturgica che risente della Riforma, ma è piuttosto la civiltà musicale intera che acquista una nuova dimensione, quella dimensione che in ambito cattolico prende il nome di Palestrina e in campo protestante prende le mosse e il nome stesso da Lutero.

Lutero non rappresenta tanto la visione d'un rinnovamento del senso religioso e dell'organizzazione in questo senso, quanto piuttosto la radicale tendenza conservatrice e restauratrice che riporta alle sue origini medievali il concetto di cristianità e la sua osservanza. L'azione di Lutero in campo musicale si esplica interamente secondo il precetto agostiniano del doppelt betet wer singt: il canto come preghiera due volte detta. Il progetto luterano si articola lungo due sezioni: il rinnovamento formale e sostanziale della Messa, e l'introduzione del canto in lingua volgare.

Per ciò che concerne la prima sezione i cambiamenti più radicali furono:

  • Abolizione dell'Offertorio
  • Estensione in via generale dell'impiego corale per il Gloria in excelsis (nella chiesa cattolica esso è cantato a più voci, dalla schola, ma solamente nelle messe solenni)
  • Demandare l'adozione del Gloria all'arbitrio dei vescovi, in quanto nel missale romanum si omette in tempo di Avvento e nei giorni di Quaresima.
  • Si modifica il valore della predica: mentre nella chiesa cattolica quel momento veniva allora inteso come un elemento estemporaneo, facoltativo, in quella evangelica esso assume una posizione liturgica determinata e si pone, anzi, come il punto centrale e fondamentale dell'intero culto.

Nel 1525 Lutero celebra la Messa in lingua volgare (tedesco) a Wittenberg. Con lo scritto Deutsche Messe und Ordnung Gottesdienst del 1526, Lutero propone e impone una sostanziale modifica del servizio liturgico praticato sino a quel tempo, coinvolgendo nella riforma anche la parte riservata alla musica. Si può notare come la tendenza generale, il concetto informatore, sia quello di concedere alla comunità, il più possibile, un ruolo di preminenza e di diretta partecipazione al culto. Così le parti che erano tradizionalmente affidate all'esecuzione del coro, e cioè Introitus, Graduale, Pater, Santus, Agnus, tendono a diventare una riserva dell'intera comunità.

Il culto introdotto da Lutero, non più seguendo il concetto cattolico del rinnovamento del sacrificio e della immolazione, ma operando in modo che fra creatura e creatore si realizzasse una perfetta comunione, doveva consentire il conseguimento dei fini spirituali attraverso i due elementi della predicazione e del canto, l'uno e l'altro uniti da saldi vincoli: identico era il fine, diverso il mezzo. Il canto dei Lieder presenta la Parola del Signore in espressioni verbali obbligate, motti, sentenze che penetrano nel cuore del fedele attraverso il senso dell'udito e che conservando sempre l'identica forma e sostanza finiscono con l'aver efficacia maggiore.

Anche se con la Messa in Si minore ci troviamo di fronte ad un esempio di Messa cattolica, quanto sopra detto non deve essere tralasciato, poiché per intendere la reale dimensione storica di Bach si dovrà procedere partendo non soltanto dagli elementi della biografia personale, ma anche dall'ambiente in cui quegli elementi si collocano. Dopo aver toccato sommariamente i punti basilari dell'espressione liturgica del luteranesimo e le manifestazioni formali della musica evangelica, sino al momento in cui Bach vi si aggancia per trarne il sostentamento e per darle slancio e vita, occorre ora spiare nell'organizzazione sociale della musica, individuare i parametri sui quali si misura l'esperienza musicale al tempo di Bach.

Non può sfuggire ad un occhio attento che quasi tutte le espressioni sociali in cui si articolava in quel tempo la professione musicale sono presenti nella biografia bachiana: Hofmusikus, Stadtorganist, Hoforganist, Konzertmeister, Kappelmeister, Kantor, Director musices, una progressione di carriera che da funzioni modeste si sviluppa a gradi di massima responsabilità con un riscontro di un progressivo miglioramento del trattamento economico. La musica trattata da Bach è presente nelle sue principali manifestazioni con la sola eccezione di quelle legate al teatro; per il resto, Hausmusik, Stadtmusik (musica dello stato / della città), Hofmusik (musica della corte), Kammermusik, Kirchenmusik, sono punti fermi della sua concezione musicale.

La carica affidata al compositore che interessa a noi più da vicino è quella di Kantor, ufficio già previsto nella sua duplice funzione pedagogica e direttoriale dalla chiesa primitiva. Il Kantor rappresenta una delle componenti fondamentali dell'organizzazione ecclesiastica e civile luterana e, nel sistema scolastico, s'inserisce al centro della gerarchia dei valori.

Al Kantor, che generalmente era fornito di un titolo superiore di studio, di grado universitario, competevano varie attività. In primo luogo quella pedagogica, che si esplicava nell'insegnamento di discipline scientifiche, del latino, del catechismo, e nozioni fondamentali della musica. Inoltre la direzione del coro della scuola, con pratica prima monofonica poi polifonica, e l'insegnamento della composizione.

Quanto sopra detto può aiutarci a comprendere meglio la convinzione radicata in molti che la Messa rappresenti un genere musicale specificatamente legato alla confessione cattolica e che pertanto anche le Messe bachiane rappresentino un omaggio alla tradizione “romana” e costituiscano una deviazione dallo spirito e dalla liturgia luterana. Affermazioni del genere sono a tal punto lontane dalla verità storica che non varrebbe neppure la pena prenderle in considerazione se esse non fossero troppo diffuse e non formassero la colonna portante di valutazioni critiche imprudenti, sulle quali si sono esercitate schiere di improvvisati interpreti del pensiero bachiano.

In realtà, è sin troppo evidente la constatazione, alla luce delle considerazioni precedentemente fatte, che il culto luterano è esemplato su quello cattolico e di questo accetta i formalismi essenziali e principali.

Per effetto della particolare situazione politico-religiosa del ducato di Sassonia, a Dresda, capitale, regnava un sovrano che, essendo stato eletto al trono di Polonia, aveva abbracciato la fede cattolica pur trovandosi nella circostanza di governare sudditi luterani. La duplicità della confessione aveva portato alla creazione di due distinte cappelle di corte, quella cattolica operante all'esterno del palazzo reale e quella luterana all'interno della reggia. E' possibile che le Messe bachiane abbiano avuto una duplice destinazione - luterana e cattolica - tanto più che una di esse, costituente la prima parte (Kyrie-Gloria) della cosiddetta Messa in si minore, venne inviata e dedicata al duca August II appena salito al trono sollecitando una nomina nella cappella di corte (1733), mentre le altre restanti tre parti di quella monumentale partitura devono essere intese in un senso diverso da quello che può avere una Missa solemnis cattolica. Tali pagine ebbero un'utilizzazione nel rito luterano, come è dimostrato ad esempio dal fatto che sono attestate esecuzioni del Sanctus nelle chiese principali di Lipsia sin dal 1724, e cioè una quindicina di anni prima del suo inserimento nel corpus della Messa in si minore.

Da circa un secolo e mezzo si è convenuto chiamare questa monumentale opera con l'espressione “Die hohe Messe in H-moll” o “Grande Messa in si minore”, un titolo che non compare nell'originale bachiano e nelle copie coeve, ma che venne attribuito all'opera da chi per primo ne propose l'edizione a stampa. Si deve ritenere basilare l'affermazione che l'opera non dovette conoscere, al tempo di Bach, un'esecuzione globale, e la constatazione che l'opera raccogliesse in sé gli elementi sparsi di un discorso che venne affrontato non unitariamente, ma a sezioni ed in tempi diversi.

La nuova cronologia, frutto di un accurato studio filologico e di critica del testo, fissa al 1724 la composizione del Sanctus come brano a sé stante: a quella data risalgono l'autografo della partitura e le parti separate originali. La prima esecuzione fu il 25 dicembre dello stesso anno, ma la pagina venne più volte riutilizzata. Per la Missa (Kyrie-Gloria) non è accertata in concreto alcuna esecuzione, ma sappiamo che le 21 parti vennero inviate nel 1733 al nuovo duca August II. Più complessa è la definizione dei termini di tempo delle restanti sezioni (Symbolum Nicenum, Hosanna, Benedictus, Agnus Dei et Dona nobis pacem). Le pagine in questione vengono datate agli ultimi anni di Bach (1747-1749), tempo al quale risalirebbe anche la definitiva sistemazione del manoscritto con la congiunzione in un unico corpo di due tronconi separati (Missa, restanti parti, più aggiunta Sanctus 1724).

Quello della “confessionalità” è uno dei problemi centrali dell'esegesi cui è stato sottoposto il corpo dei brani formanti la Messa bachiana. Per un verso l'adozione del testo dell'Ordinarium nella sua totalità depone a favore della “cattolicità” dell'opera; per un altro verso il fatto che singoli brani siano stati utilizzati in un contesto rituale evangelico (come per il Sanctus, e probabilmente per il Symbolum Nicenum) confermerebbe l'idea di una composizione pensata più per il culto luterano, a maggior ragione se si considera che tutta la produzione vocale sacra di Bach è stata scritta per le chiese di Lipsia e che è quasi impensabile l'idea di una composizione sacra rimasta ineseguita. C'è, naturalmente, la questione della dedica della Missa al duca di Sassonia, che avrebbe abbracciato il cattolicesimo. Bisogna però ricordare che alla corte di Dresda erano presenti due cappelle, una cattolica (la principale) e una luterana. Sembrerebbe strano immaginare Bach in preda ad una sorta di “abiura” improvvisa, o ad un semplice adeguamento alla confessione del sovrano, il quale l'aveva accolta per opportunismo politico.

D'altro canto bisogna sottolineare che la tradizione liturgica cattolica non aveva mai conosciuto prima uffici liturgici musicali di quella portata (la Grande Messa K 427 di Mozart e la Missa Solemnis di Beethoven sono posteriori).

Con ogni riguardo deve essere poi osservato il fatto che la dedica al sovrano si riferisce esclusivamente alla Missa costituita da quelle parti che il servizio liturgico luterano ancora considerava proponibili, immaginando la sostituzione di corrispettivi tedeschi per la restante parte. Negli anni poi tra il 1747-1749, in cui è databile la composizione delle ultime parti della messa e la definitiva sistemazione in un corpus organico, non si trovano tracce di una intestazione dell'intera opera al sovrano della corte di Dresda.

La materia, come si vede, offre spunti e argomentazioni per sostenere tanto la tesi “cattolica” quanto la tesi “luterana” e consente anche di intendere l'opera in termini di ambivalenza. La sua natura cattolica emergerà quando si vorrà considerarla nei termini di un corpo unitario, elaborato lungo un ampio intervallo di tempo, svincolato dalla realtà storica e quasi isolato in mondo astratto anche se agganciato alla tradizione della Messa concertata.

Al contrario essa apparirà come una manifestazione del pensiero musicale luterano quando la si interpreterà a segmenti separati, ciascuno dei quali destinato a non ricoprire un unico servizio liturgico, bensì a soddisfare esigenze specifiche delle grandi festività in cui era consentito praticare la polifonia applicata ai testi latini dell'Ordinarium.

Prima di analizzare più da vicino alcune delle parti della Messa in si minore, è bene spendere due parole sulla tecnica compositiva e formale che Bach adotta. Non è eccessivamente imprudente sostenere che quasi tutti i 25 numeri di cui consta la partitura non sono pagine originali, ma parodie o adattamenti più o meno rilevanti da opere precedenti. Tenendo conto di ciò, tanto più appare mirabile l'opera bachiana, se si considera che essa è tutta o in gran parte il frutto di un montaggio razionale e perfettamente equilibrato che sul piano dei risultati musicali s'impone come creazione originale e unica. L'opera è di quelle che più apertamente manifestano, nella sua quasi esasperata monumentalità e nella sua irripetibile polivalenza, la concordia delle idee, l'armonia dei gesti, il razionale patto di alleanza che compone ogni interna contraddizione.

Dando uno sguardo al prospetto si può notare che il peso maggiore è sostenuto dal coro, al quale sono affidati interventi stilistici molto differenziati, ma sempre sostenuti dal concerto degli strumenti realizzato spesso in modo trionfalistico.

ORGANICO: soprano I e II, contralto, tenore, basso, coro, 2 flauti, 3 oboi, 2 oboi d'amore, 2 fagotti, corno, 3 trombe, timpani, archi, basso continuo.

Una esecuzione è del 1998 diretta dal maestro Diego Fasolis, con l'Orchestra dei Sonatori de la Gioiosa Marca ed il Coro della Radio Svizzera (voci soliste: Roberta Invernizzi, Lynne Dawson, Gloria Banditelli, Christoph Prégardien, Klaus Mertens). La registrazione è stata diffusa dalla rivista Amadeus.

Kyrie eleison (coro)

La Messa si apre con l'esecuzione da parte del coro a 5 voci ed orchestra, con una delle pagine più imponenti dell'intera composizione. Caratterizzata da grave solennità propone il motto di 4 battute eseguite dal coro con la triplice enunciazione del testo liturgico “Kyrie eleison”, in blocchi sonori compatti, ma connessi allo stesso tempo dallo sfasamento contrappuntistico delle voci (i soprani portano avanti l'enunciazione). Significativa la mancanza delle solenni trombe, utilizzate in questa messa in occasioni di glorificazione a Dio. Il sentimento di cordoglio funebre anima l'interludio orchestrale che segue, guidato dai legni. Questo sta quasi a rappresentare simbolicamente il peccato (momento di riflessione). Bach esprime la schiavitù del peccato con la combinazione della tonalità minore, del timbro scuro del flauto e dell'oboe d'amore e dell'uso di intervalli dissonanti e cromatici. Il tema proposto dall'interludio strumentale diviene poi cellula melodica del Kyrie eseguito da tenori e bassi. Il procedere delle parti è solenne, tortuoso e professionale, in costante progressione verso l'alto, caratterizzato in modo evidente dal timbro chiaro ed acuto dei soprani, i quali hanno un ruolo da protagonisti in quanto a loro sono affidate 2 delle 5 voci corali, che introducono i momenti più intensi in un'atmosfera che potrebbe sembrare sin troppo monotona e quieta. Si passa poi ad un secondo interludio strumentale riservato ai 2 oboi d'amore accompagnati da BC, fagotti e archi. La seconda enunciazione è questa volta svolta da bassi e non dai tenori, seguiti poi dalle voci femminili.

Christe eleison (Duetto: soprano I e II)

Questo secondo brano è in forma di duetto affidato ai due soprani, per contrasto ai due blocchi; è un brano luminoso, trasparente. Tale forma musicale nelle altre parti della messa è richiamata in coincidenza di testi che riguardano la secondo persona della Trinità. Le voci procedono a distanza di terza con l'unisono dei violini; il micro testo è intonato ogni volta in diverse tonalità, introdotte da un ritornello orchestrale. Le tonalità in cui si modula sono tutte prevedibili, ma ciò non rende meno efficace l'espediente espressivo che Bach adotta. Segue poi il secondo Kyrie, con coro a 4 voci, nella tonalità di fa # minore, in stile fugato.


Gloria in excelsis Deo (coro) - Et in terra pax (coro)

Il Gloria si può suddividere in otto episodi (4 coro, 4 solisti). Parrebbe difficile riconoscere a prima vista un progetto organico prestabilito, eppure l'analisi a cui è stato sottoposto il corpo, lo mostra risolto come tale. Analizzando il testo è possibile dividerlo in 2 parti; la prima (dal Gloria al Domine Deus) che consiste in una serie di lodi al Padre e al Figlio; la seconda invoca l'intervento misericordioso del Figlio e si conclude con la riaffermazione del principio trinitario. La forma musicale che caratterizza l'intero Gloria è quella dell'inno.

La temperatura è elevata nel tripudiante Gloria d'apertura a 5 voci, introdotto dalle inneggianti trombe, seguito poi dall'eterea fuga dell' Et in terra pax. La tonalità è re maggiore, la cui relativa è la tonalità d'impianto della Messa. Tale pezzo sinfonico/corale è un imponente spiegamento di forze, tutto l'organico al completo con il concertante della prima tromba. Tale parte venne utilizzata da Bach nella Cantata 191 del 1725 e in origine concepito come un tempo veloce di un concerto. Timpani e trombe interrompono la loro esecuzione per il Et in terra pax, guidando l'atmosfera musicale verso un disegno più disteso e tranquillo, sottolineato dall'insieme di appoggiature eseguite dal coro, che il I soprano trasformerà in fuga. L'appoggiatura evidenzia un'accentuazione particolare della frase musicale dall'efficacia espressiva.

Laudamus te (Aria: Soprano II)

Tre sono le arie del Gloria, tutte affidate ad una voce solista che duetta con uno strumento; nel primo caso un violino, nel secondo con l'aria Qui sedes ed dextram Patris un oboe d'amore, nel terzo con l'aria Quoniam tu solus sanctus con il corno da caccia. In tutti i casi c'è sempre l'orchestra che svolge il compito d'accompagnamento. L'aria del Laudamus è aperta da un vasto a solo concertante del violino, di evidente virtuosismo strumentale che anticipa la complessità vocale (33 note 5 trilli); la tonalità è di la maggiore.

Domine Deus (Duetto: soprano I e tenore)

Un ampio duetto che riporta il discorso musicale ad un clima di suggestiva intimità, esaltata dalla raffinatezza timbrica dell'accompagnamento: flauto traverso obbligato, archi superiori con sordino, bassi in pizzicato. Il flauto espone un tema semplice e diretto su cui le voci si esibiscono ora in imitazione ora omoritmicamente. Le due voci – acute - propongono dapprima simultaneamente le proposte dei due testi e conducendo il discorso in imitazione; sull' Agnus Dei, invece, procedono in perfetto parallelismo e su un unico testo. Anche qui, come nel duetto del Christe eleison, vi è l'impiego simbolico dei due cantanti, a significare il Padre e il Figlio, cui il testo fa riferimento: ai due viene affidata simultaneamente l'acclamazione a una delle persone della Trinità creando così un intrigante effetto di politestualità. Fatto non trascurabile è l'aggiunta della parola altissime all'espressione Domine Fili unigenite Jesu Christe: la parola non trova riscontro nel Missale Romanumm, ma figura come tropo nel Graduale della chiesa di San Tommaso di Lipsia.


Credo in unum Deum (coro) - Patrem omnipotentem (coro)

La distribuzione della materia nel Symbolum Nicenum obbedisce a criteri del tutto diversi al Gloria, essendo dominato da strutture architettoniche rigorose e fra loro corrispondenti.

Questo brano per coro a cinque voci e 2 violini concertanti corrisponde in senso vero e proprio alla forma musicale di mottetto a 7 voci (5 vocali, 2 strumentali) con basso continuo. In senso tecnico la pagina funge da “intonazione”, sostituendo il celebrante al quale, secondo la liturgia, sono affidate le prime parole del testo (senza Patrem). La realizzazione mottettistica bachiana s'ispira a modelli arcaici (Monteverdi) e utilizza un tema a valori larghi affidato al coro e ai due violini; queste sette parti procedono secondo uno stile contrappuntistico rigorosissimo, ma all'imitazione che governa le parti vocali si aggiunge una figurazione ostinata del basso continuo. La sezione conclusiva viene solennizzata dall'apporto celebrativo di trombe e timpani, stesso organico utilizzato per il Gloria.

Et incarnatus est (coro)

Capolavoro di intimità sacrale per coro a 5 voci, 2 parti di violino e basso continuo. Si apre con una piccola introduzione strumentale affidata al continuo e ai violini, che presentano la tonalità d'impianto di si minore, calandoci così in una atmosfera ineludibilmente espressiva. Di grande effetto sono le appoggiature dei violini che accompagnano il coro che si mantiene sempre su una dinamica che oscilla dal pp al p. Questa atmosfera ci riporta più indietro allo Stabat Mater di Pergolesi, e più avanti nel tempo al Lacrimosa del Requiem di Mozart. Si deve notare come la curva discendente del tema rimandi al mistero dell'incarnazione, appunto alla discesa di Dio nella carne, con una tragicità patetica che prelude alla teologia della Croce.

Et resurrexit (coro)

Di spirito completamente contrapposto è il festivo Et resurrexit, che celebra la resurrezione di Cristo con un tema affidato all'intero coro a 5 voci ed orchestra al completo. Forse è derivato da un lavoro profano. Il coro si divide, nella sua perentorietà ritmica, tra esecuzioni omofoniche e contrappuntistiche. Il brano è suddivisibile in due sezioni intervallate da un ritornello strumentale nel quale sono escluse le trombe; queste si trovano come protagoniste nella conclusione strumentale, alle quali è affidato un duetto.

Sanctus (coro)

Come già detto il Kantor ha ripreso senza modifiche un Sanctus composto nel 1724 e più volte eseguito dei giorni del Natale e della Pasqua di anni successivi. La composizione si presenta a 6 voci (2SS 2AA) ed è dotata di un organico strumentale superiore rispetto alla prima sezione della Messa. Il brano si apre con un incedere solenne e grandioso che contrasta dinamicamente con la fuga del Pleni sunt coeli. La prima sezione è dominata dalla figurazione ritmica della terzina che permette uno scioglimento tematico più fluido e coinvolgente e si colloca come nuovo elemento di contrasto con la seconda parte guidata da ritmica regolare.

Agnus Dei (alto) - Dona nobis pacem (coro)

Il numero conclusivo dell'Ordinarium viene suddiviso da Bach in due sezioni rigorosamente separate: un'aria per contralto e una parte corale che intona l'ultimo versetto del testo liturgico. L'intensa esecuzione del contralto, nella tonalità di sol minore, procede senza fretta, appoggiandosi a lungo sulle parole-chiave del testo (Dei; tollis; peccata; mundi). Strumentalmente ci sono due elementi che sono in contrasto: gli “affetti” dolenti del basso continuo e le luminose parti dei violini che procedono all'unisono.

La Messa in si minore si chiude con una sorpresa, a suprema conferma di quel trionfo della parodia. Il Dona nobis pacem consiste infatti nella ripresa di un pezzo preesistente, già impiegato in una Messa del 1733. L'organico grande viene mobilitato, prevedibilmente, per concludere il capolavoro con un fugato mottettistico il cui protagonista è il coro, coadiuvato nella sfolgorante sezione conclusiva dal clamore delle trombe e timpani.

La Passione secondo Matteo

Considerazioni preliminari

Il necrologio del figlio Carl Philipp Emanuel riferisce che Bach aveva scritto cinque passioni. Di queste, soltanto due sono pervenute intere a noi: la Johannes-Passion (BWV 245), la cui prima esecuzione accertata risale al 1724, e la Matthaus-Passion (BWV 244) del 1729; una Markus-Passion, su testo di Picander, è pervenuta ma se ne conosce parte della musica, che venne creata utilizzando anche la cantata BWV 198. Spuria una Lukas-Passion, pervenuta autografa ma sicuramente copiata da un manoscritto di altro autore, forse intorno al 1712. Della quinta passione, nulla si conosce, se non un presunto libretto di Picander. Poiché è logico pensare che Bach, per comporre le cinque passioni, abbia messo in musica i testi della Passione secondo tutti e quattro gli evangelisti, è evidente che uno di quei testi dovette essere preso in considerazione due volte. Friedrich Smend, fondandosi sulla specificazione del Necrologio nella quale è rilevata la presenza di una Passione a due cori, ha supposto che Bach avesse scritto due Matthaus-Passionen, una delle quali - a un coro - scritta durante gli anni di Weimar.

A Lipsia vi era l'abitudine di comporre ed eseguire vari tipi di passione in stile polifonico, ed è grazie all'intensa attività musicale di questa città, specialmente nel campo della musica sacra, che tale forma trova la sua fortuna e il più alto grado di sperimentazione. Abbiamo così la Passione-responsorio con semplici interventi del coro in risposta alla lettura intonata del o dei celebranti; la Passione-mottetto con la realizzazione polifonica dell'intero testo evangelico; la Passione drammatica in cui il recitativo non è quello liturgico tradizionale, bensì risulta liberamente inventato; la Passione-oratorio, cioè come oratorio sul tema della Passione.

Le due passioni a noi giunte, capolavori forse assoluti della musica di Bach, sono concepite, invece, nella forma della cosiddetta passione oratoriale. Nella passione oratoriale, che veniva presentata all'interno di una celebrazione liturgica non diversamente da una cantata sacra in due parti (prima e dopo la predica), il testo evangelico viene interpolato con testi madrigalistici (arie o cori) e Kirchenlieder (corali).

Strutturalmente la passione si articola nel modo seguente:

Testo evangelico: intonato per la parte narrativa da un evangelista, tenore, in stile recitativo, e per le parti dialogiche da voci - soliste o corali - cui è affidata di volta in volta la rappresentazione di personaggi singoli o collettivi. Arie e ariosi madrigalistici affidati a solisti, con la funzione di suggerire ai fedeli motivi di meditazione e di riflessione. Imponenti brani in stile mottettistico, in apertura o chiusura delle singole opere o di parti di essa. Corali liturgici, intonati dal coro. Nell'affrontare il tema della passione, che in tutti e quattro i Vangeli è contenuto in due capitoli, ma con differenze notevoli nel numero dei versetti, Bach non poteva non tenere conto degli elementi formali che guidano il testo-base, della diversa distribuzione della materia e della stessa “temperatura” del racconto evangelico, particolari questi che erano ben presenti anche al poeta e ne condizionavano gli interventi (tropi). Quindi abbiamo: 82 vv. per Giovanni (da 18,1-40 a 19,1-42), 141 vv. per Matteo (da 26,1-75 a 27,1-66), 119 vv. per Marco (da 14,1-72 a 15,1-47). Elemento portante e determinante del servizio liturgico è la predica, che trova collocazione in un momento particolarmente significante della narrazione evangelica ma non centrale rispetto ad essa, sicchè la distribuzione dei versetti nelle parti in cui si articolano le passioni bachiane avviene in maniera asimmetrica: parte I Gv. 27, Mt. 56 Mc. 52 ; parte II Gv. 55, Mt. 85 Mc. 67.

Un'ultima considerazione prima di affrontare il discorso sulla Matthaus-Passion. All'esecuzione di tali opere erano chiamati complessi vocali e strumentali di dimensioni maggiori in rapporto a quanto si verificava nelle ordinarie festività liturgiche. Per la parte corale se ne occupavano la prima e seconda cantoria (da un minimo di 24 a un massimo di 34 cantori); quanto agli strumentisti, si può calcolare che essi non superassero la cifra di 34. Problema assai dibattuto, infine, è quello della prassi esecutiva relativamente alla parte del basso continuo, campo minato di certa esegesi non sempre attenta a sottrarsi ad un'interpretazione troppo letterale dei documenti e spesso dimentica che in quell'età l'adozione di uno strumento in luogo o a fianco di un altro poteva essere governata dal caso, da una primaria libertà di azione oppure da necessità contingenti oggi superate con la maggiore preparazione professionale degli esecutori. La questione principale riguarda il corretto impiego del cembalo, uno strumento che ebbe corso nelle chiese principali di Lipsia, unitamente o in alternativa all'organo. Una soluzione radicale e definitiva del problema è impossibile, ma il buon senso dovrebbe suggerire che, anche quando la presenza del cembalo è indicata in partitura o addirittura confermata da una specifica parte separata conglobata nel materiale esecutivo originario, non è detto che l'impiego ne diventi indispensabile e ad esso non si possa rinunciare. E' possibile, ad esempio, che il cembalo costituisse un semplice sostegno, un ausilio per guidare le voci, le quali dovevano agire in spazi acusticamente difettosi o angusti, in condizioni ambientali, dunque, ben diverse da quelle in cui si trova ad operare l'odierna pratica concertistica.

Disamina della Matthaus-Passion

La Passione secondo San Matteo, differentemente dalla Passione secondo San Giovanni, appare più vistosa e spettacolare, meno intima, ma più impressionante, non tanto nelle dimensioni e nell'aspetto formale, quanto piuttosto nella vertiginosa corsa verso atteggiamenti teatrali (un vero e proprio dramma liturgico) di resa immediata. La partitura appare non-uniforme, ma commista di stili disparatissimi difficilmente afferrabili da chi non conosca a fondo i segreti del linguaggio bachiano.

Composta tra l'autunno del 1728 e la Quaresima del 1729, fu eseguita nella chiesa di San Tommaso di Lipsia il giovedì santo dello stesso anno (altre esecuzioni 1736, 1739, 1745).

Per quanto riguarda la sezione testuale, il testo è tratto dal vangelo di San Matteo e intercalato da 28 brani ad opera di Picander, più 14 corali. L'elemento primario della realizzazione drammatica è il recitativo che ha importanza capitale ed è strettamente legato al significato del testo. A parte l'arditezza armonica e l'estrema libertà della linea melodica, c'è da rivelare la sua prodigiosa natura lirica e religiosa, anzi luterana. All'Evangelista è affidata l'esecuzione di un recitativo secco, differentemente da quello che accompagna il personaggio di Cristo, sostenuto da un lieve disegno melodico degli archi. Unica eccezione al costante uso del recitativo obbligato (strumentale) è il momento in cui Cristo pronuncia, prima della morte, le parole Eli, Eli, lamma Sabachtani, espressione che anche musicalmente è appello di agghiacciante efficacia. Rivestito di figure musicali cariche di significati simbolici e che perciò propongono un'immediata corrispondenza fra il contenuto del testo e il veicolo della parola, il recitativo è spesso un messaggio lanciato al fedele e destinato a scavalcare il senso letterale della narrazione per assumere invece una forma musicale autonoma (es. n. 63a che alle parole dell'Evangelista, nel momento del terremoto, sottopone il tumultuoso clangore di una parte di continuo - organo - con effetti sonori che vanno ben oltre i limiti di un puro sostegno armonico per farsi invece pittura d'ambiente, poesia dell'imitazione della natura).

Altro pilastro fondamentale della passione è il corale, la tradizionale voce spirituale del popolo tedesco, il cui impiego è determinato da esigenze espressive (e non solo liturgiche): la formazione di zone di meditazione, la necessità di realizzare momenti di tensione e di sospensione del dramma, l'esigenza d'un elemento dialettico che introduca alla purificazione. Si devono aggiungere, poi, i grandiosi cori di apertura e di chiusura della passione e un terzo ruolo affidato alla massa corale, quello del popolo, la turba come personaggio dei Vangeli; per quest'ultimo si tratta di interventi previsti dalla narrazione e concepiti nei più diversi stili, dal semplice recitativo corale all'ampia struttura polifonica, dal brevissimo motto alla fuga.

Il momento statico della passione, il monumento alla meditazione e alla contrizione è rappresentato dagli ariosi e dalle arie; in queste pagine la coscienza del credente si risveglia mentre l'azione si ferma. I due elementi stilistici, ariosi e arie, si fondono praticamente in un unico organismo in cui la cantabilità si sposa ad una rigorosa tessitura contrappuntistica realizzata da strumenti obbligati, flauto diritto o traverso, oboe d'amore e da caccia, viola da gamba, liuto (San Giovanni), violino…, con scelte timbriche di straordinaria puntualità, sottolineando ulteriormente quello che è il risultato finale delle passioni bachiane: commistione di stili e condotta parallela di forme diverse per spirito, destinazione e struttura, per la cui non-uniformità fuoriesce, razionalmente e sentimentalmente coordinata, l'unitarietà dell'opera, poiché è con la purità degli atteggiamenti che Bach conquista il dominio della materia.

Veniamo all'ascolto di alcuni brani dell'opera. Ne ascolteremo l'esecuzione del 1965, diretta da Karl Richter con la Munchener Bach-orchester ed il Munchener Bach-chor (voci soliste: Irmgard Seefried, Antonia Fahberg, Hertha Topper, Ernst Haefliger, Kieth Engen, Dietrich Fischer-Dieskau, Max Proebstl), edizioni Archiv.

Traccia 1: 9'52

Questo brano è in stile mottetistico concertato, eseguito da doppio coro e corale affidato ad un coro di voci bianche. Il testo è stato probabilmente scritto da Henrici e una sezione da Decius. Da questo brano iniziale si comprende la particolare natura del messaggio dell'intera opera, il simbolismo dell'Agnello. Richiamandoci all'Apocalisse (14,1; 21,10) “E vidi, ed ecco l'Agnello ritto in piedi sul Monte Sion. Insieme con lui 144mila che hanno scritto sulle loro fronti il suo nome e il nome del Padre”. Su quel monte l'Agnello è stato immolato, ma su quello stesso monte saranno celebrate le sue nozze con la sposa, Gerusalemme. In altre parole, il sacrificio della croce è inteso come premessa alla redenzione. La morte di Cristo indica da un lato la vittoria sul male, dall'altro la fondazione della nuova Gerusalemme. Si apre così la via crucis, il glorioso cammino della croce, come sottolinea la scelta musicale del Kommt, processionale e solenne, in forma dialogica tra due cori. Strutturalmente uno dei due cori interroga l'altro con domande cariche di apprensione, in un tumulto di passi concitati, mentre il coro di voci bianche si libera in un cantus firmus sull'Agnello.

Il brano si apre con una solenne introduzione strumentale, che riprende simbolicamente il carattere processionale. Il procedere delle voci è tortuoso, le sonorità cupe iniziali vengono rischiarate dall'esecuzione dei violini, e l'atmosfera si fa più concitata ed intensa con il raddoppio della figurazione ritmica del BC. L'ingresso del coro è introdotto da una frase melodica dominata dai flauti che termina con un trillo. Anche qui, come in alcune parti della Messa in si minore, troviamo un accattivante discorso di politestualità, che in modo complesso si articola in due momenti. Il primo è evidenziabile mettendo a confronto i due cori: le voci femminili procedono per valori larghi, in contrapposizione alle voci maschili che eseguono la frase raddoppiando il ritmo. Il secondo momento, quando entra il coro di voci bianche con il corale O Lamm Gottes, unschulding. Le due parti si incontrano sulle coppie di parole: colpe e peccati, croce e pietà; sposo e agnello, a voler sottolineare, con forza, la centralità del messaggio evangelico.

Traccia 17-18: 4'24 Tradimento di Giuda e istituzione dell'Eucaristica.

Si prende ora in considerazione questa sezione della passione per mettere in risalto le differenze tra i vari tipi di recitativo adottati da Bach, il quale si impegna a sottolineare la forza del messaggio, che rimanga a noi non con la fredda determinazione di una sentenza, ma come un sermone ultimo, un testamento spirituale. Ci troviamo nel momento in cui si consuma l'ultima cena, dove si preannuncia il tradimento di Giuda e si istituisce il sacramento dell'eucaristia. Nella narrazione della vicenda abbiamo l'Evangelista che scolpisce il disegno narrativo del Vangelo di S.Matteo con un recitativo scavato, che mira a sottolineare la veridicità dei fatti e il loro inquadramento storico-anneddotico. La figura di Cristo, invece, dovendosi innalzare, trovando collocazione su un piano di distinzione e di onore rispetto a quello degli altri interlocutori, abbandona il recitativo secco per quello obbligato. Così, le parole di Cristo sono sempre pronunciate secondo uno stile declamato, ricco di mistica fierezza e di profetica verità, accompagnato dagli archi, quasi sempre per accordi ma talvolta con fregi indipendenti dalla linea di canto, in atmosfere che stanno tra il triste, il tenero, il celestiale, vagando verso atteggiamenti propri dell'arioso. è interessante notare che l'evangelista quando introduce gli interventi di Gesù usa un tono più dolce, di complicità, contrariamente a Giuda.

Traccia 4 del II cd: 5'00 Arresto di Gesù

Aria con coro: eseguita sotto forma di duetto, soprano e contralto. La concitazione estrema si espleta in corrispondenza di un passo di alta drammaticità e che stimola la rappresentazione della pietà e della sofferenza. È il momento dell'arresto di Gesù. Un tema grave e penoso serpeggia in orchestra, prima dell'entrata delle voci soliste, in cui risaltano fiati e archi acuti che si muovono per appoggiature. Evidente il basso continuo realizzato con l'ausilio dei violoncelli. Le implorazioni del coro sono chiare, imponenti e forti. Dalle parole pronunciate del coro si capisce che la natura si ribella, il cielo si oscura e le potenze degli abissi si levano; in questo preciso momento dell'esecuzione il coro si spezza in due tronconi, che procedono all'unisono, ora in modo antifonale, su un fugato di mirabile compattezza. La tensione drammatica è al culmine e come uno schianto il discorso s'interrompe improvvisamente per riprendere, dopo una lunga pausa, sulla immagine (“Spalanca i tuoi abissi di fuoco, o inferno”) che propone con efficacissimo realismo il tragico verificarsi di un cataclisma tellurico. Evidenti sono poi i violoncelli, che con il loro timbro pieno, caldo e corposo procedono ostinatamente per tutta l'esecuzione.

Traccia 6 del II cd: 6'44 Dopo la cattura

A chiusura della prima parte troviamo il corale “O Mensch, bewein dein Sunde gros”, brano precedentemente utilizzato per la passione composta a Weimar nel 1725. Ovviamente eseguito dai due cori, quest'ultima pagina unisce i due cori vocali-strumentali e dispiega tutto il potenziale bachiano nella tecnica del mottetto su cantus firmus. Vi è una lunga introduzione orchestrale, dove troviamo i violoncelli ad imitare la linea melodica in progressione per appoggiature esposta dai fiati. L'appoggiatura, che crea uno spostamento di accentazione, è l'elemento strutturale di questo brano, e fa procedere la linea melodica a singhiozzi, come le lacrime che l'uomo versa per i suoi peccati e per l'umiltà di Dio a noi dimostrata facendosi uomo. La tonalità oscilla tra modo maggiore e minore. I soprani aggiunti svolgono il compito di ripieno. Il testo, così come la musica, può essere diviso in due sezioni, la prima anch' essa bipartita, la seconda caratterizzata da un inizio luminoso, che corrisponde all'atmosfera e il finale in un accentuato rallentando, sulle parole “morendo sulla croce”.

Traccia 20-21-22 del III cd: 9'17 Wir setzen uns mit Tranen nieder (sepoltura)

Chiudiamo con l'ultima parte della passione con il più ampio esempio di coro della turba, 24 battute, a cui è affidata la richiesta di vegliare il sepolcro del Signore. L'esecuzione corale è in forma mottettistica, polifonia a quattro parti più o meno contrappuntate. L'entrata del coro è preceduta da un breve passo di BC che raddoppiando la propria figurazione ritmica, prepara l'atmosfera concitata che anima il popolo. Il coro che procede inizialmente vede evidenziata la parte dei soprani, per lasciare poi il campo alle voci tenorili che conducono una intensa sezione imitativa.

A seguire, prima del corale di chiusura, abbiamo un recitativo che ci presenta la sepoltura del Cristo. Alle spoglie di Gesù è rivolta l'attenzione delle affermazioni e delle considerazioni affidate al coro. Il brano corale è introdotto da un interludio orchestrale dominato dagli archi, nei quali è possibile ascoltare i registri bassi dei violoncelli e dei contrabbassi, scelti non casualmente, poiché rendono ancora più intensa l'emozione rappresentata. Sostanzialmente è strutturato come un'aria col “da capo”, liberamente inteso, recante alcuni passaggi in cori spezzati (influenza dell'Italia settentrionale sul corale luterano). Accorato è il tono, perché dolorosa è la circostanza della sepoltura, ma l'invocazione del riposo e l'augurio, anzi, la certezza di poter chiudere gli occhi nel sonno celeste, costituiscono un affabile messaggio di fede sublimato da una scrittura mottettistica essenziale e calda, ariosa e benedetta dalla notte apportatrice di quiete, quella “buona notte” che nel corso del precedente recitativo obbligato a quattro il coro aveva dolcemente invocato con quattro brevi cullanti motti diversamente articolati. Si possono distinguere dinamicamente due momenti, uno più intenso in cui l'orchestra d'archi avvolge e sostiene il coro, l'altro più intimo, dove si evidenzia l'oboe d'amore. Il motto “riposa in pace” si ripete due volte, dinamicamente e simbolicamente diverse, la prima pp a rappresentare un dolce augurio, la seconda f che porta in se il dolore della morte, avvenuta cruentamente del Salvatore, ma anche la solennità e la conferma che solo la notte può quietare questo momento. Il coro procede per imitazioni.

  1. Duden Aussprachewörterbuch, 6ª ed., Mannheim, Bibliographisches Institut & F.A. Brockhaus AG, 2006.
  2. Luciano Canepari, Bach, in Il DiPI – Dizionario di pronuncia italiana, Zanichelli, 2009, ISBN 978-88-08-10511-0.
  3. Ovvero il 21 marzo 1685, secondo il calendario giuliano, in uso nella Germania protestante all'epoca della nascita di Bach. Il calendario gregoriano entrò là in vigore il 18 febbraio 1700 (che fu seguito immediatamente dal primo marzo). p. 525 Christoph Wolff, Johann Sebastian Bach: The Learned Musician.
  4. "The 50 Greatest Composers of All Time"|https://www.classical-music.com/features/composers/50-greatest-composers-all-time
  5. Fuller Maitland, J.A., ed. (1911). "Johann Sebastian Bach". Grove's Dictionary of Music and Musicians. 1. New York: Macmillan Publishers. p. 154..
  6. Leaver (2007), pp. 280, 289–291.
  7. Huizenga, Tom. "A Visitor's Guide to the St. Matthew Passion". NPR Music. National Public Radio. Archived from the original on 27 February 2012. Retrieved 25 February 2012..
  8. Butt John (a cura di), The Cambridge Companion to Bach, in Cambridge Companions to Music, Cambridge University Press. [1]
  9. Boyd, p. 122.
  10. Boyd, p. 130.