Harry Potter

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Harry Potter è una serie di romanzi fantasy scritta da J. K. Rowling e ambientata principalmente nell'immaginario Mondo magico.

Harry James Potter
Harry Potter (Daniel Radcliffe) nel sesto film
UniversoHarry Potter
Lingua orig.Inglese
Soprannome
  • Il Bambino Che È Sopravvissuto
  • Il Ragazzo Che È Sopravvissuto
  • Il Prescelto (dal sesto libro)
AutoreJ. K. Rowling
Interpretato da
Voci italiane
SessoMaschio
Luogo di nascitaGodric's Hollow
Data di nascita31 luglio 1980
Logo della serie

Ideata nei primi anni novanta, la serie fu pubblicata tra il 1997 e il 2007.[2] Tradotta in 80 lingue, tra cui il latino e il greco antico[3][4][5], resta seconda nella storia dell'editoria, con una vendita complessiva di 500 milioni di copie[6], dietro soltanto al Maigret di Simenon.

In aggiunta ai sette romanzi, l'autrice ha pubblicato tre pseudobiblia come supplemento alla saga: Gli animali fantastici: dove trovarli, Il Quidditch attraverso i secoli e Le fiabe di Beda il Bardo.

Nel 2016 è uscito un ottavo volume, che contiene la sceneggiatura dello spettacolo teatrale Harry Potter e la maledizione dell'erede.

La serie di film ispirata alla saga era, al momento della sua conclusione, la più remunerativa della storia di Hollywood, con un incasso di 7,7 miliardi di dollari.[7], prima di essere superata dal Marvel Cinematic Universe e da Guerre stellari[8]. Nel 2016, il primo dei cinque episodi ispirati allo pseudobiblion Gli animali fantastici: dove trovarli è uscito nelle sale cinematografiche; il secondo capitolo è uscito il 15 novembre 2018.

Il Vangelo secondo Harry Potter

Come affrontare la vita con la Bibbia in una mano e la bacchetta magica nell'altra

autore Peter Ciaccio prefazione Dario E. Viganò

  • Spiritualità e teologia cristiana nella serie di J.K. Rowling
  • Il maghetto di Hogwarts e le questioni fondamentali della fede cristiana
  • La vocazione, il potere, la predestinazione, la morte, l'escatologia, l'amore...

Il vangelo secondo Harry Potter non è un apocrifo neotestamentario da poco ritrovato in un mercatino mediorientale, bensì un’analisi teologica – ma anche psicologica, esistenziale, politica e sociale – delle tematiche spirituali, nei molteplici sensi del termine, che affiorano nella saga fantasy di J.K. Rowling.

Peter Ciaccio propone una lettura teologica, e non solo, delle tematiche spirituali presenti nel notissimo ciclo di Harry Potter della scrittrice inglese J.K. Rowling nell’intento, dichiarato, di promuovere il dialogo tra teologia e cultura pop.

Alla ricerca di significative tracce del mondo ebraico-cristiano nella saga, Ciaccio ne propone una lettura che mette in luce i parallelismi tra mondo della teologia, quello della fantasia e quello reale, evidenziando molte questioni chiave della vita umana e della fede cristiana nonché numerose e sorprendenti analogie, una delle più straordinarie delle quali è quella tra Dolores Umbridge, diligente funzionaria del Ministero della Magia, e Adolf Eichmann, organizzatore della «soluzione finale» nella Germania nazista.

1. Magia e teologia 2. Il cuore di un bambino 3. Predestinazione 4. Vocazione 5. Il coraggio e la paura 6. Il peccato imperdonabile 7. Il Regno di Dio 8. Cristo e l’Anticristo 9. Il potere 10. La giustizia 11. Oltre il dualismo 12. L’amore e la morte

Peter Ciaccio, nato a Belfast da padre italiano e madre irlandese, si occupa della cosiddetta «teologia pop». Pastore metodista, si è laureato presso la Facoltà valdese di Teologia con una tesi sui modelli pastorali nel cinema di Ingmar Bergman. Per Claudiana, ha pubblicato Il vangelo secondo i Beatles e Il vangelo secondo Star Wars (con Andreas Köhn).

Harry Potter e l’educazione alla vita buona

http://www.gliscritti.it/blog/entry/1100

http://www.gliscritti.it/blog/entry/1111

La magia non è più un gioco sorprendente

(il seguente testo è tratto da Gaetano Vallini, Scenari apocalittici e risultati convincenti per il film «Harry Potter e il principe mezzosangue» in Osservatore Romano 13-14 luglio 2009 [1])

Resi ancor più tracotanti dal ritorno di Lord Voldemort, il signore oscuro, i Mangiamorte non risparmiano neppure il mondo dei "babbani". Il terrore si abbatte su Londra sotto un cielo improvvisamente offuscato da nubi innaturali e minacciose. L'obiettivo prescelto è il Millennium Bridge, fatto crollare in una spirale di distruzione. Una dimostrazione di potenza da parte delle forze del male, che vogliono asservire al signore oscuro il mondo dei maghi; un universo parallelo in cui è vietato interferire con quello degli uomini normali e dove viene ripudiata la magia nera. Quella di cui si nutre Voldemort. Si apre con questo inquietante scenario apocalittico Harry Potter e il principe mezzosangue, sesto capitolo della fortunata saga nata dalla penna di Joanne Kathleen Rowling, che narra le avventure del timido maghetto, ormai adolescente. Sono passati nove anni dal primo episodio e il protagonista deve affrontare sfide ben superiori alle sue capacità. La magia non è più il sorprendente passatempo degli inizi; le prove da superare, per quanto rischiose e paurose, non sono più avventure per bambini, seppur speciali e dotati di poteri eccezionali. Ora - come si era capito soprattutto con l'episodio precedente - si rischia davvero la vita e la posta in gioco è altissima: impedire alle forze delle tenebre di prendere il sopravvento. Nelle sale di tutto il mondo dal 15 luglio, distribuito dalla w:it:Warner, Harry Potter e il principe mezzosangue è il film - che il 12 luglio ha anche inaugurato il festival di Giffoni - meglio riuscito della serie. Il lato oscuro della vicenda assume consistenza, caratterizzando con tinte forti tutto il racconto. Si può dire che, cresciuti i personaggi - adolescenti alle soglie dell'età adulta - è cresciuto anche il tono della narrazione. E lo spettacolo ne guadagna. Ciò grazie anche al lavoro del regista David Yates che aveva diretto anche il quinto episodio, Harry Potter e l'ordine della fenice, e dello sceneggiatore Steve Kloves che aveva adattato i primi quattro capitoli. Tra l'altro in questa pellicola la miscela di suspance soprannaturale e romanticismo - Harry, Ron, Hermione e gli altri giovani studenti di Hogwarts cominciano a sentire il richiamo delle passioni - raggiunge il giusto equilibro, rendendo più credibili le vicende dei protagonisti, chiamati a confrontarsi anche con gli stessi problemi dei coetanei "babbani". Inoltre, le piccole, grandi storie d'amore che si intrecciano - tra attese e cocenti delusioni, e non poche situazioni umoristiche - stemperano la crescente tensione. E sottolineano che non esistono formule magiche per evitare i "pericoli" dell'adolescenza. In tal senso siamo di fronte a un percorso di formazione. Che però fa solo da contorno. Nei corridoi della scuola l'amore è nell'aria, ma la tragedia incombe e forse Hogwarts - che non appare più come un rifugio sicuro - non sarà più la stessa. Uno studente rimane in disparte, alle prese con questioni molto più importanti, determinato a lasciare un segno, anche se oscuro. È Draco Malfoy, chiamato da Lord Voldemort stesso a compiere una missione enorme, decisamente troppo per la sua età. Ma Draco - che dietro la maschera da duro cela una personalità fragile e vulnerabile - accetta: vuole la fama, per vendicarsi del suo rivale di sempre, Harry Potter. Il quale sospetta che nel castello si nascondano nuovi pericoli; è convinto che Draco sia diventato un Mangiamorte. Il preside, il saggio professor Silente, intanto sente avvicinarsi la battaglia finale. E si rivolge a Harry - ormai definitivamente riconosciuto come il prescelto per sconfiggere Voldemort - affinché lo aiuti a scoprire come penetrare nelle difese del signore oscuro, informazione fondamentale, questa, che solo l'ex professore di pozioni a Hogwarts, Horace Lumacorno (splendidamente impersonato da Jim Broadbent), conosce e custodisce tra le memorie rimosse del suo passato. Quindi Silente fa in modo di convincere il vecchio collega a riprendere la sua cattedra. Tra schermaglie amorose e partite di Quidditch, la storia procede tra i tentativi di Harry Potter di accaparrarsi la fiducia del professore e la successiva ricerca del segreto dell'immortalità di Voldemort, che lo porterà persino in una sorta di discesa nell'Ade, dopo aver attraversato su una barca (senza Caronte) un fiume che richiama l'Acheronte. Al termine dell'episodio scopriremo - come ben sanno gli appassionati lettori della saga - che il giovane mago rimarrà solo nella sua battaglia, dopo un tragico passaggio di consegne. Ma per sapere se riuscirà a portare a compimento la sua missione bisognerà attendere i prossimi due film in cui è stato diviso l'ultimo libro di Rowling. In questo lungometraggio, più che nei precedenti, gli intrecci narrativi da seguire sono diversi. La psicologia dei personaggi prende una forma più precisa. Nel quinto capitolo Harry viveva un periodo difficile, tormentato da sogni e da demoni personali, nel ricordo dei genitori uccisi da Voldemort. Ed era alla ricerca di risposte. Ora sembra non averne bisogno. Non si fa troppe domande; sa che ha un compito importante da svolgere. Si fida di Silente, che non lo tratta più come un alunno ma come un amico. Ed è consapevole che quel mondo magico non è privo di insidie, al pari di quello in cui è cresciuto in passato. Le cupe immagini di Hogwarts, che visivamente si presenta in un modo finora ignoto, rendono ancora più incombente la tragedia che sta per consumarsi. Tutto sembra preparare e portare allo scontro finale tra il bene e il male. Che poi restano i veri protagonisti dell'intera saga, attorno alla quale in passato si sono accesi non pochi dibattiti. È stata chiamata in causa la spiritualità new age; non è mancata l'accusa di istigare i giovani alla fuga dalla realtà e di instillare in loro l'illusione che esistano poteri soprannaturali con i quali poter controllare a proprio piacimento il mondo. Insomma una saga diseducativa e persino anticristiana. Sicuramente nella visione proposta da Rowling manca un riferimento alla trascendenza, a un disegno provvidenziale nel quale gli uomini vivono le loro storie personali e la Storia prende forma. Così come è vero che, nel meccanismo classico delle fiabe, il protagonista viene coinvolto in vicende in cui la magia è quasi sempre uno strumento nelle mani delle schiere del male. Tuttavia il fatto che in Harry Potter il versante positivo della magia non venga impersonato da saggi maghi e fate in cui identificare chiaramente l'opera della Provvidenza non rende meno evidente la differenza tra le forze in campo. Allo stesso modo non si può affermare che la stregoneria - ma in questo caso sarebbe meglio parlare di magia - venga posta come un ideale positivo. Al contrario sembra ben chiara la linea di demarcazione tra chi opera il bene e chi compie il male, e l'identificazione del lettore e dello spettatore non fa fatica a indirizzarsi verso i primi. In quest'ultimo film in particolare la distinzione si fa persino più netta. Si è certi che compiere il bene è la cosa giusta da fare. E si comprende anche come questo a volte costi fatica, sacrificio. Inoltre viene stigmatizzata la ricerca spasmodica dell'immortalità, di cui Voldemort è l'emblema. E per questo non serve il ricorso alla magia. C'è una saggezza atavica che suggerisce di non cedere ai richiami di una impossibile eterna felicità sulla terra e all'illusione che tutto sia possibile. Le metaletture di questa favola fantasy trascendono, a volte, le reali intenzioni dell'autrice, che cerca solo di voler smascherare - questo sì - il mito di una ragione che pretende di avere una risposta per tutto. Sicuramente vanno oltre le interpretazioni che possono darne un bambino o un adolescente. È più probabile che alla fine della visione o della lettura, più che il fascino della magia (che rimane solo un pretesto ammaliatore) restino le scene che richiamano valori come l'amicizia, l'altruismo, la lealtà, il dono di sé. In fin dei conti basta ricordare ciò che, nel primo episodio, il guardiacaccia Hagrid risponde a Harry Potter che gli chiede a cosa serva un ministero della magia: "Be', il compito più importante è non far sapere ai Babbani che in giro per il Paese ci sono ancora streghe e maghi". "E perché?" "Perché? Ma dai, Harry, perché tutti allora vogliono risolvere i loro problemi con la magia".

Harry Potter sempre più dark e un po' stiracchiato

(il seguente testo è tratto da Gaetano Vallini, in Osservatore Romano 13-14 luglio 2009 [2])

Nella prima parte de "I doni della morte" regna un senso di inconcludenza. Le ragioni commerciali penalizzano il racconto

Siamo all’epilogo, dunque. Lo scontro finale tra il bene e il male è inziato. Harry Potter contro Voldemort. Non c’è più spazio per tentennamenti, ripensamenti. La scuola di Hogwarth, con il suo peculiare e inquietante fascino gotico, è solo un lontano ricordo. I giochi di magia appartengono al passato. Ogni incantesimo stavolta serve a salvarsi la vita. Si lotta per la sopravvivenza. E qualcuno muore. Che la storia si fosse fatta tremendamente seria lo si era capito già dal sesto, precedente episodio cinematografico della saga della Rowling. Ma con la prima parte del settimo, Harry Potter e i doni della morte, la conferma è immediata. Si vedono le due fazioni in lotta stabilire le strategie d’azione per la battaglia definitiva, in stile spy story. E fin da subito si entra nel vivo dell’azione, che David Yeats, cui era stata affidata la regia dei due precedenti capitoli, arricchisce stavolta anche con un classico inseguimento stradale, opportunamente modificato. Harry è ormai maggiorenne, così come i suoi compagni di sempre Ermione e Ron. I tre sentono il peso della responsabilità. Ma Potter, il predestinato, è l’unico che può sconfiggere Voldemort. Ed è deciso a farlo. Ma non è semplice farsi seguire, soprattutto se, oltre alle forze oscure, ci si mette anche la gelosia a separare gli amici. Ad ogni modo, deve trovare e distruggere gli Horcrux, chiave dell’immortalità del signore oscuro, prima che questi trovi lui. E perciò l’ex maghetto ora adulto, mentre cerca anche l’arma in grado di poterlo aiutare nell’impari lotta, è costretto a fuggire e a nascondersi di continuo in luoghi sempre diversi. Tra agguati, combattimenti e trame sotterranee, nonché richiami non sempre immediati agli episodi precedenti, la storia – dai toni ancora più cupi e sempre meno adatta ai bambini - va avanti fino alla scena che fa da raccordo con la seconda parte, ovvero Voldemort s’impossessa della sola arma che può aiutarlo a sconfiggere Potter. Un film interlocutorio, molto più del precedente, perché Il principe mezzosangue, dando conto del passaggio dei protagonisti dall’infanzia all’adolescenza e offrendo indizi del drammatico finale, reggeva bene la storia. Qui le ragioni commerciali hanno prevalso su quelle cinematografiche, tanto da far sì che il settimo episodio della saga fosse sdoppiato. Saranno certamente felici i fan incalliti della Rowilng, per i quali ogni omissione nella trasposizione cinematografica sa di sacrilegio, tuttavia probabilmente un solo film avrebbe giovato al racconto. Stavolta, infatti, le due ore e mezza di questa prima parte del finale danno segni di affaticamento, ed è soprattutto l’incompiutezza a pesare, più delle stiracchiature narrative. Anche se le sequenze in cui viene raccontata la storia dei “doni della morte” attraverso una raffinata animazione - una vera chicca - sono di pregevole fattura e di notevole impatto visivo, più di tanti effetti speciali. Di sicuro si avvicina il giorno della liberazione per i tre protagonisti Daniel Radcliffe, Rupert Grint e Emma Watson – il primo film della saga è del 2001 l’ultimo uscirà il prossimo anno – rimasti troppo a lungo prigionieri dei personaggi. Per loro le magie sono davvero finite. E presto anche per i fan arriverà definitivamente la parola fine.

Questo il link della recensione del precedente episodio pubblicata da "L'Osservatore Romano" http://gaetanovallini.blogspot.com/2009/07/la-magia-non-e-piu-un-gioco.html che suscitò un dibattito interessante. Soprattutto "Libero", attraverso Claudio Siniscalchi, criticò il nostro articolo. Il 15 luglio 2009 titolò: Il maghetto new age incanta l'Osservatore - Al giornale della Santa Sede l'ultimo film è piaciuto. Ma Ratzinger aveva criticato la serie. Tre giorni dopo Vittorio Messori sul "Corriere della Sera" sosteneva la nostra tesi

La Chiesa, il nuovo Harry Potter e il «segno di una ricerca»

(il seguente testo è tratto da Vittorio Messori, in Corriere della Sera 18 luglio 2009 [3])

Il cardinal Angelo Bagnasco che, nella recente lettera pastorale alla sua diocesi di Genova scrive : “Certe tendenze, pur non coerenti con la fede, come il fenomeno dell’occultismo e della superstizione, la suggestione delle filosofie orientali, la ricerca di spiritualità esoteriche, le diverse forme di New Age, sono a loro modo segni di una ricerca“. L’Osservatore romano che pubblica l’articolo di un collaboratore che dà un giudizio cautamente positivo (o, almeno, non negativo) della sesta tappa della saga di Harry Potter, in proiezione nei cinema in questi giorni. I media, si sa, sono alla ricerca costante di collegamenti tra notizie disparate, per spacciare presunte “nuove tendenze“ o improbabili “prospettive inedite“ e costruirvi servizi fuorvianti. E’ successo anche questa volta, mescolando una citazione estrapolata dell’austero presidente della CEI alle avventure cinematografiche del “ maghetto “ inglese. La tesi che si vorrebbe dimostrare è qualcosa del tipo: “C’è una nuova apertura della Chiesa al Soprannaturale“, quello estraneo alla Tradizione. Vediamo di capirci qualcosa . Su Harry Potter si è fatto rumore, a suo tempo, attorno a un presunto giudizio negativo dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, giudizio che –come si è poi scoperto– non era suo ma di un collaboratore ed era stato strumentalizzato da una giornalista tedesca. In realtà, come spiegò anche un articolo di Civiltà Cattolica, e come ribadisce ora il pezzo del quotidiano vaticano, sarebbe ingiustificata una crociata previa contro questa saga. In effetti, malgrado non vi sia un esplicito riferimento al cristianesimo, i suoi valori sono riaffermati dallo schema di fondo, che vuole le forze del Bene in difficoltà ma alla fine vincitrici su quelle del Male. I buoni sentimenti sono diffusi e mai irrisi. E, quanto alla magia, anche lo spettatore, o il lettore, giovani si accorgono che la storia non è che una favola, dove non manca l’ironia . E si sottolineano positivamente i siparietti comici che contribuiscono a demitizzare le vicende, allentando la tensione . Nessuna attuale assoluzione “vaticana“, dunque , poiché non vi è stata prima nessuna “condanna“, se non da parte di settori tradizionalisti, quelli ossessionati da un onnipresente “complotto anticristiano“ per il quale Harry Potter sarebbe un arma tanto micidiale quanto occulta. Sono quelli che si affannano ad ascoltare nastri musicali alla rovescia per individuarvi messaggi blasfemi ; o a ricercare, nascosto ovunque, il 666, il “numero della Bestia“ secondo l’Apocalisse; o a tentare di individuare segni diabolici subliminali negli spot pubblicitari. La Chiesa lascia fare, ma non partecipa a queste atmosfere di sospetti millenaristi. Nulla di nuovo, ovviamente, anche nella parole di quel coriaceo e impenitente discepolo del grande cardinal Giuseppe Siri (sempre più riscoperto con ammirazione, negli ambienti ecclesiali) che è Angelo Bagnasco. Un suo confratello nella porpora , Giacomo Biffi, ripete da sempre che “il contrario della fede non è la ragione ma la superstizione“ . Ed è citatissimo il Chesterton dell’aforisma secondo il quale “il guaio dell’uomo di oggi non è il fatto che non crede a niente ma il fatto che crede a tutto“. C’ è forse qualcosa di nuovo nel segnalare, come fa Bagnasco, che al declino del cristianesimo si è accompagnato, in Occidente, un lussureggiare di veggenti, stregoni, guru, indovini, astrologi, esoteristi, sciamani? Ed è forse una interpretazione originale quella secondo la quale tutto questo è “a suo modo il segno di una ricerca“ ? Non si tratta di “aprire“ come qualcuno ha detto ma, semmai, di constatare. Senza sorpresa ma con qualche amarezza. L’abbandono , cioè, di quella che per il cardinale è la via maestra, induce a smarrirsi in sentieri che non portano da nessuna parte. Anche qui, intendiamoci, nessun fanatismo . Il cristianesimo autentico, quello non settario, è sempre inclusivo, mai esclusivo, secondo la parola di Gesù ( “non sono venuto per distruggere ma per completare“) e l’esortazione di Paolo (“esaminate tutto, tenete ciò che è buono“ ) . Così, l’attenzione attuale per certe tecniche orientali è presente oggi in molte Case di esercizi spirituali del tutto accettati. Se vale ancor oggi il consiglio, per il fedele comune, di astenersi dalla astrologia è per prudenza e non per un rifiuto previo, visto che astrologi erano presenti alla Corte papale e il principe stesso dei teologi, San Tommaso d’Aquino, credeva nell’influsso degli astri, pur conciliandolo con il libero arbitrio. Non poteva essere altrimenti, visto che i cosiddetti “Magi“ erano quasi certamente astrologi caldei che avevano individuato l’arrivo del Messia degli ebrei scrutando le stelle. L’esortazione, poi, a star lontani dall’occultismo non è perché si tratti sempre e comunque di inganni e truffe ma perché può essere, talvolta, un pericolo reale. Come sperimentarono tanti santi che dovettero difendersi da trame oscure in cui la Chiesa istuzionale stessa, pur prudente e di primo acchito doverosamente scettica, ha dovuto riconoscere lo zampino diabolico. Insomma , per dirla con Ernest Renan, “la verità è sempre triste, ahinoi!“. La tristezza della verità, in questo piccolo caso, è data dal fatto che non si riesce proprio a trovare alcunché di nuovo, nè qualcosa che le accomuni, tra le parole dell’arcivescovo di Genova e quelle di un collaboratore dell’Osservatore romano . I cercatori di “clamorose svolte“ dovranno, ancora una volta, attendere altre occasioni.

L'ultima battaglia di Harry Potter

(il seguente testo è tratto da Gaetano Vallini, in Osservatore Romano 13 luglio 2011 [4])

Con un finale inquietante e violento si chiude la saga cinematografica nata dai romanzi di Joanne K. Rowling

Il finale è epico, con una battaglia degna di una saga dall’ineguagliato successo planetario. Lo scontro definitivo tra le forze del bene e quelle del male è davvero all’ultimo sangue, in un’atmosfera fin troppo dark. I giochi di magia dei maghi bambini non li ricorda ormai più nessuno. I piccoli studenti di Hogwarts sono cresciuti e i sortilegi imparati servono per non soccombere ai malefici del signore oscuro e salvare il mondo dai suoi piani. Quella che si combatte è una guerra vera che mette in campo tutto: uomini, maghi, ragni, draghi, serpenti, giganti, «mangiamorte» e «dissennatori» (malvagie presenze ben note ai fan). E si rischia la vita. Eccolo, dunque, l’ottavo e ultimo capitolo cinematografico della saga di Joanne K. Rowling, Harry Potter e i doni della morte. Parte seconda, che da mercoledì 13 luglio invaderà anche le sale italiane con un migliaio di copie candidandosi a essere l’ennesimo blockbuster della lunga serie che ha visto sfilare negli anni, più o meno stabilmente, alcuni tra i migliori attori inglesi, come Emma Thompson, Maggie Smith, Jim Broadbent, Michael Gambo, Elena Bonham Carter, Gary Oldman e Ralph Fiennes. Siamo all’attesissima resa dei conti tra il predestinato, l’occhialuto maghetto ormai uomo, e Lord Voldemort, incarnazione del male, alla ricerca dell’immortalità a qualsiasi costo. La storia ricomincia dov’era finito il precedente capitolo: Voldemort, il signore oscuro, ha appena profanato la tomba di Silente, rubandogli la potente bacchetta magica; Harry Potter riprende con gli inseparabili Ermione e Ron la caccia agli «horcrux», oggetti al cui interno il diabolico nemico ha racchiuso altrettanti pezzi della sua anima e che sono essenziali alla sua immortalità. La scena si sposta nei sotterranei della banca degli elfi, Gringott, per approdare al castello di Hogwarts, dove tutto era iniziato e dove tutto avrà compimento in una sola, lunghissima notte.

Gli appassionati della saga sanno già tutto: per loro la sfida è capire quanto anche quest’ultima pellicola sia fedele al racconto. Finora non si sono lamentati e crediamo non avranno motivo di farlo nemmeno ora. Ma un film ha le sue regole e non è detto che, pur essendo fedele al testo scritto, sia altrettanto affascinante. Come avvenuto con la prima parte de I doni della morte: il risultato sul grande schermo non era stato all’altezza dei capitoli precedenti, probabilmente proprio per aver voluto diluire, a scopo prettamente commerciale, il racconto in due film. L’episodio era stiracchiato; due ore e mezza in cui si respirava un senso di inconcludenza, con una sola vera scena memorabile: la sequenza in cui viene raccontata la storia dei «doni della morte» attraverso una raffinata animazione, di notevole impatto visivo. Insomma, un film interlocutorio, molto più del precedente Il principe mezzosangue, che però, raccontando il passaggio dei protagonisti dall’infanzia all’adolescenza e offrendo indizi del drammatico epilogo, presentava una storia a suo modo finita e approfondiva la psicologia dei personaggi, mostrandone i tormenti adolescenziali, in un insieme ben riuscito. Le critiche sembrano aver sortito in generale un benefico effetto sul regista, David Yates, lo stesso dei tre capitoli precedenti, che stavolta non ripete gli errori. A cominciare dalla durata, visto che siamo di fronte al più breve degli otto film. E la qualità complessiva ne guadagna, grazie anche a scene ben confezionate, a effetti speciali calibrati, a un montaggio davvero serrato che non si concede cali di ritmo e di tensione. Si può dire in generale che in questi anni, a parte qualche cedimento, la fattura dei film è andata via via crescendo, adattandosi agli sviluppi narrativi. Stavolta in più c’è il 3d, che però non aggiunge molto. L’atmosfera, che negli ultimi episodi si era fatta sempre più inquietante e tenebrosa, qui raggiunge il suo massimo in una Hogwarts ridotta a un cumulo di fumanti rovine. Cosa che potrà non piacere a tutti, come peraltro è già avvenuto soprattutto con il film precedente, creando disagio negli spettatori più piccoli. Come pure la morte, che prima era un raro accadimento, quasi un incidente di percorso, qui è protagonista. Nello scontro finale scorre molto sangue e muoiono in tanti: maghetti più o meno cresciuti, professori più o meno esperti. E anche questa deriva sempre più violenta riunisce tutti i motivi per non essere gradita o adatta a tutti.

Quanto ai contenuti, quest’ultimo capitolo svela tutte le carte in tavola: posiziona i pezzi mancanti della storia e smaschera anche quei personaggi finora rimasti ambigui nella lotta tra bene e male, a cominciare dal professor Severus Piton. Soprattutto conferma che non ci sono dubbi per chi parteggiare, e non a caso tutta Hogwarts si schiera a fianco di Harry Potter. Nella saga il male non è mai affascinante e nemmeno alla resa dei conti il maligno appare più attraente. Si confermano invece i valori dell’amicizia e del sacrificio, in un singolare e lungo romanzo di formazione che — attraverso tappe anche dolorose nel confronto con la morte e l’esperienza della perdita — vede l’eroe e i suoi compagni passare dalla giocosa spensieratezza dell’infanzia alla realtà complessa dell’età adulta. Forse anche per questo la longeva saga ha avuto successo: soprattutto dal 2001, con l’uscita del primo film Harry Potter e la pietra filosofale, molti ragazzi non hanno fatto fatica a empatizzare con Harry, Ron ed Hermione, e a condividerne sogni e preoccupazioni, delusioni e speranze. Quei ragazzi oggi sono cresciuti, di pari passo con i protagonisti del film e certo hanno compreso che la magia è solo un pretesto narrativo, strumentale alla lotta contro un’irrealistica ricerca d’immortalità. Si chiude, dunque. E per qualcuno, soprattutto per quanti non hanno mai amato la saga, sarà una sorta di liberazione. Di sicuro sarà così per i tre protagonisti Daniel Radcliffe, Rupert Grint e Emma Watson, forse troppo a lungo prigionieri dei loro personaggi. Per loro le magie sono davvero finite. Come per gli inconsolabili fan. Che però si aggrappano fiduciosi alla speranza di un prequel.

[7]:

«Con il successo di Harry Potter e l'Ordine della Fenice (938 milioni di dollari nel mondo, sesto successo più grande di sempre e secondo più grande nella serie), i film di Harry Potter della Warner Bros. Pictures sono diventati, in tutto il mondo, gli adattamenti cinematografici più produttivi di sempre.»

Nel 2013 i risultati al botteghino combinati insieme per gli otto film di Harry Potter superano i 7,706 miliardi di dollari[9], sorpassando quindi i ventiquattro film di James Bond e i sette film di Guerre stellari sino ad allora prodotti e diventando la serie più produttiva della storia fino a quel momento[7]

  1. Harry Potter - La coppa del mondo di Quidditch, su Il mondo dei doppiatori, AntonioGenna.net. URL consultato il 1º settembre 2019.
  2. J. K. Rowling Official Site – Section Biography, su jkrowling.com. URL consultato il 15 agosto 2007.
  3. (EN) Harry Potter - The Books, su jkrowling.com. URL consultato il 19 settembre 2012.
  4. Harry Potter al Festival del Latino e del Greco antico, su fantasymagazine.it, 26 febbraio 2005. URL consultato il 25 maggio 2012.
  5. Harry Potter to be translated into Scots - J.K. Rowling, su jkrowling.com, 31 luglio 2017. URL consultato il 12 novembre 2018 (archiviato dall'url originale il 31 luglio 2017).
  6. (EN) 500 million Harry Potter books sold worldwide - Pottermore, in Pottermore. URL consultato il 12 novembre 2018.
  7. 7,0 7,1 7,2 In Hollywood, a Decade of Hits Is No Longer Enough, su nytimes.com, NY Times, 27 marzo 2011. URL consultato il 28 aprile 2012.
  8. Floriana Ferrando, Da Star Wars a Marvel, ecco i migliori franchise al box office: LA TOP 5, su tg24.sky.it, 25 gennaio 2020. URL consultato il 2 luglio 2020.
  9. Dati box office dei film di Harry Potter: